lunedì 26 febbraio 2007

Garcia Marquez e il demone della storia


(mercoledì 25 gennaio 2006, copyright Ore Piccole)

Quando ci sarà un Papa sudamericano? Innegabilmente, il baricentro del Cattolicesimo si è spostato a quelle latitudini ma il nuovo Papa, prendendo nome Benedetto, ha rinnovato il proprio desiderio di evangelizzare l’Europa. Ma all’altro capo del mondo persistono ancora oggi movimenti che di cattolico hanno ben poco, se non l’esposizione del crocifisso in mezzo a un’infinità di simboli magici. Con notevole senso del corso dei tempi, García Márquez mette in bocca al vescovo di Cartagena, in Dell’amore e di altri demoni: “Abbiamo attraversato il mare oceano per imporre la legge di Cristo, e ci siamo riusciti nelle messe, nelle processioni, nelle feste patronali, ma non nelle anime” (pag.1405 delle Opere Narrative nella collana dei Meridiani Mondadori).
Il vescovo, dal canto suo, sa e precorre i tempi. Quali, però? Resta infatti il mistero insondabile di quando sia ambientato Dell’amore e di altri demoni. Date precise non ce ne sono, nel corpo del testo. La breve prefazione archeologica, col rinvenimento del teschio capelluto nella cripta del convento di Santa Clara, lo colloca in un passato impreciso e non catalogabile nemmeno col carbonio-14. Mai stanco di parlare di sé, in un’intervista a Fabio Rodríguez Amaga (riportata a pag.1472), García Márquez spiega di essersi orientativamente collocato nel 1750, ma di essersi scontrato con l’esigenza narrativa di elementi risalenti anche a due secoli prima. Ergo: “presi la decisione di cancellare tutte le date e creare un tempo in cui sono vere le realtà di tre secoli diversi.” L’abusata formula di “realismo magico” in questo caso si riversa in un possibile “storicismo magico”.
Guardiamo i riferimenti storici concreti, pochini in verità per noi che siamo abituati al Manzoni. C’è Leibniz, che troneggia al centro dei tre secoli in questione, e c’è Voltaire, addirittura in traduzione latina, sebbene ancora ai suoi esordi. Ma c’è anche Garcilaso de la Vega il quale, sebbene morto nel 1536 e nonno della trisnonna del piccolo inquisitore Delaura (pag.1426), viene citato e recitato come pane quotidiano e, in buona sostanza, contemporaneo. Quanto agli avvenimenti storici effettivi, nulla di riconoscibile a prima vista. Mai come nel suo ultimo romanzo (prima delle Puttane Tristi) García Márquez ha proceduto, come gli scultori, per levare; procedimento che gli ha consentito così di smussare le forme piuttosto che definirle, sfocare i contorni e rendere i confini della narrazione un’aura che si confonde con il più generale corso della storia.
Su un vecchio numero della Settimana Enigmistica che ho qui di fianco (senza sapere perché) una vignetta ritrae una signora che nella metà sinistra si affanna sulla cyclette vagheggiando di mangiare dolci, e nella metà destra divora dolci vagheggiando di pedalare sulla cyclette. Cosa viene prima e cosa viene dopo? È la riedizione dietetico-salutistica del dilemma dell’uovo e della gallina. Tornando al Cristianesimo, la sua principale innovazione agli occhi dello storico è di aver sostituito al tempo ciclico, uroboro che si morde la coda, tipico di tutte le antiche civiltà orientali (Greci compresi) un tempo linearmente diretto, con un inizio e una fine, il cui momento centrale è l’incarnazione di Cristo, punto zero la cui irripetibilità funge da unità di misura di una precisa scansione cronologica - questo lo sanno perfino quelli che hanno studiato nell’università riformata. A tutto viene dunque assegnata una data, ogni evento ha un prima e un dopo, il 1728 (Voltaire abbozza le Lettere Inglesi) non era il 1536 (Garcilaso muore a Nizza, guidando all’assalto un battaglione di Carlo V) né sarà il 1994 (García Márquez si decide, dopo cinque anni, a pubblicare un nuovo romanzo).
Tuttavia lo sconforto del vescovo, don Toribio de Cáceres y Virtudes, riportato a pag.1405 e all’inizio di quest’articolo, lascia pochi dubbi: gratta gratta, il Cristianesimo non ha del tutto attecchito in America Latina. Si ritaglia così, questo continente anomalo, un margine di errore nella storia, un beneficio del dubbio fra il prima e il dopo, che non intacca solo la banale temporalizzazione degli eventi ma, su più vasta scala, la disposizione delle cause (che si suppongono precedenti) e degli effetti (che si suppongono posteriori). Nel sogno ricorrente del romanzo, la protagonista Sierva Maria de Todos los Angeles viene vista (e si vede) “mangiare uno ad uno gli acini di un grappolo d’uva che teneva in grembo. Nel sogno era evidente che la ragazzina stava da molti anni davanti a quella finestra infinita cercando di terminare il grappolo, e che non aveva fretta, perché sapeva che nell’ultimo acino c’era la morte”(pag.1378).La freccia irrevocabile del tempo cristiano punta con fierezza (ma anche senza troppa fretta) il momento della fine del mondo, in cui le pecore saranno separate dai capri e ogni peccato verrà rimesso oppure punito in eterno. Il grappolo invece della storia sudamericana non è unilineare e spetta al singolo decidere qual è il primo acino da mangiare e, di conseguenza, qual è l’ultimo che contiene la morte. Lo storicismo magico di García Márquez è un grappolo che sempre ricresce (come il roveto ardente ma incombusto dell’Esodo biblico) e che si ha fretta di finire per capire quando mai la morte si paleserà. Considera amaro il vescovo, la figura sovratemporale che conserva in sé l’inquisitorietà del XVI secolo, il barocco del XVII e i barlumi del XVIII, e che più di mangiare il tempo sembra esserne mangiato: “Come siamo lontani!” “Da cosa?”, gli chiede Delaura. “Da noi stessi” (pag.1398); dal nostro inizio e dalla nostra fine, segreta ed incombente.