mercoledì 6 giugno 2007

Dialogo a Oxford

Gli inglesi non lo capiranno mai. Se a pranzo qualcuno avesse avuto l’ardire di fermarmi e di chiedermi perché avevo passato la mattinata a controllare ogni trentacinque secondi il sito del Corriere, a ponderare per ore e ore immutabili schemi rossi e blu, a fare somme e differenze, a fare calcoli complicatissimi sul fuso orario, a provare e riprovare il funzionamento dei video streaming sul mio portatile, ad appuntarmi sull’agendina robe tipo “h18:40 GMT min. fin.”, e sostanzialmente perché da stamattina, pur avendo una cascata di fatti miei da tener d’occhio, io mi sia svegliato non pensando ad altro che all’attesa delle nove di stasera, le dieci in Italia – ecco, tutt’al più avrei potuto rispondere: “Perché oggi c’è il Senato”, e l’eventuale inglese non avrebbe capito.

Se non fossero timidi, gli inglesi potrebbero chiedermi perché di tanto in tanto “c’è il Senato”, e soprattutto perché questo costituisca un motivo di entusiasmo apparentemente ingiustificabile, e in subordine se questo Senato non ce l’abbiamo tutti i giorni, e quindi perché gioirne soltanto, poniamo, di mercoledì. Non potranno mai capire che dal giorno dell’insediamento del nuovo parlamento io (con me tutta l’Italia) mi sono sistemato panza all’aria davanti alla tv per sottopormi in sostanza alla continua visione di una reiterata conta. Esempio primordiale, l’elezione del Presidente del Senato, ossia vicepresidente della Repubblica, con un candidato per la maggioranza e uno per l’opposizione.

“Tante grazie”, direbbe l’ipotetico inglese, “ma si suppone che la maggioranza, in quanto maggioranza, disponga di più voti dell’opposizione, in quanto opposizione.” “Tante grazie”, risponderei io, “ma si dà il caso che siamo in Italia.” “E quindi?” “E quindi la maggioranza ha tre seggi di vantaggio.” “E quindi?” “Il Presidente del Senato, eletto da loro stessi, non vota.” “Ne restano due.” “Il senatore Di Gregorio, eletto con la maggioranza, suole votare con l’opposizione.” “Ne consegue che sono pari, quindi non c’è maggioranza né opposizione.” “Il senatore Follini, eletto con l’opposizione, si trova più comodo a votare con la maggioranza.” “Quindi la maggioranza ha due senatore di vantaggio. Ma come mai la maggioranza ha un margine così esiguo?” “Perché alle elezioni ha preso duecentomila voti in meno dell’opposizione.”

Se a questo punto l’ipotetico inglese non è svenuto, porto avanti il carico da novanta: “Meno male che ci sono i senatori a vita?” “Chi sono i senatori avvita, please?” “A vita. Sono gli araldi della democrazia: non sono eletti da nessuno e solo la morte può privarli del diritto di voto.” “Quanti sono?” “Sette, di cui almeno quattro votano sempre per la maggioranza.” “Questo significa che la maggioranza ha sempre e comunque minimo due voti di vantaggio.” “Sì ma non sempre. I senatori a vita sono vecchi.” “E quindi?” “Inciampano, si sentono male, hanno il raffreddore.” “E quindi?” “Può capitare che i senatori a vita che votano con l’opposizione godano di migliore salute di quelli che votano con la maggioranza.” “Capita spesso?” “Quasi mai. Votare per il governo, a quanto pare, allunga la vita e migliora la salute.” “Quindi coi suoi quattro senatori a vita sicuri, la maggioranza ha un margine anche di sei voti più dell’opposizione?” “Alle volte.” “E l’opposizione che fa?” “Fischia.” “Perché fischia?” “Perché quelli stanno bene.”

L’Inghilterra (la Gran Bretagna, va’) è la patria della logica – Duns Scoto, John Locke, Bertrand Russell – e, a seguito di un rapido calcolo, l’ipotetico inglese ha chiaro in mente che in Italia sono stati eletti 315 senatori, 159 di maggioranza e 156 di opposizione; da questi va levato il Presidente del Senato (maggioranza), così da essere sul 158 a 156; uno della maggioranza passa con l’opposizione, 157 a 157; uno dell’opposizione passa con la maggioranza, 158 a 156; quattro senatori a vita votano con la maggioranza e tre con l’opposizione, 162 a 159 e buonanotte. L’inglese ipotetico ne deduce il trionfo definitivo della maggioranza e la navigazione tranquilla fino a fine legislatura. Io gli spiego che solo Prodi ragiona così.

Innanzitutto perché i tre senatori di maggioranza hanno un nome e un cognome, anzi, hanno tre nomi e tre cognomi e appartengono all’UDEUR. “And what the hell is the UDEUR?” “It is il partito del ministro della giustizia.” “È un partito molto grosso?” “Non supera il due per cento.” “E quindi?” “E quindi è decisivo, perché se l’UDEUR decide di togliere l’appoggio al governo i suoi tre senatori passano all’opposizione e la maggioranza si ritrova sotto 159 a 162, pur contando i senatori a vita.” “Oh my God.” “E questo è niente, perché in fin dei conti l’UDEUR parla parla ma mai se ne va; pensa però che bastano non tre ma due senatori qualsiasi a far cadere il governo, il che significa che uno qualsiasi dei partiti di maggioranza in ogni momento può decidere di votare con l’opposizione e polverizzare ciò che resta di Prodi.” “Uno qualsiasi dei due partiti di maggioranza?” “Sono di più.” “Dei tre partiti di maggioranza?” “Di più.” “Quattro?” “Oltre all’UDEUR, ci sono: Italiani in Sud America; Italia di Mezzo; Italia dei Valori; Per le Autonomie; Verdi; Partito dei Comunisti Italiani; Rifondazione Comunista; Ulivo, che a sua volta è composto da Democratici di Sinistra e Margherita, che a sua volta è composta da prodiani e rutelliani, che a sua volta sono composti da…” “Basta così, penso di avere afferrato.” “Ora, una volta che ipoteticamente a tutti e sette i senatori a vita viene il raffreddore, basta che un partito composto da un solo senatore ritiri la fiducia al governo per farlo cadere” “…” “Ragion per cui a ogni voto in Senato il governo ha 158 possibili diversi mal di pancia.”

Argomenta allora il combattivo, benché ipotetico, inglese: “Però resta il fatto che alla fine si ricompattano, per quanto in maniera pittorescamente italiana, e contribuiscono alla stabilità del governo per tutta la legislatura.” “Può darsi. Ma sono già andati sotto una volta, all’inizio della scorsa quaresima.” “E che è successo?” “L’inevitabile: come nella via crucis, Prodi cade per la prima volta.” “Si era dimesso? Ma non è ancora Presidente del Consiglio?” “S’è dimesso di mercoledì sera e gli è stato ridato l’incarico di sabato mattina.” “Avrà cambiato molti ministri.” “Nemmeno uno.” “E cos’è cambiato?” “Follini.” “E chi è?” “Ma stai attento quando parlo? Una pagina e mezzo fa avevo detto che il senatore Follini si trova più comodo a votare con la maggioranza.” “Ah, sì scusa. Quindi hanno dovuto cambiare il programma di governo?” “Macchè.” “E allora perché il senatore Follini prima votava con l’opposizione e poi ha iniziato a votare per la maggioranza?” “Perché vuole rompere i coglioni pure lui; non ora, però, quando si troverà comodo.”

“Quindi forse oggi l’UDEUR voterà contro il governo?” “Assolutamente no.” “Il senatore Follini voterà forse contro?” “Assolutamente no.” “Qualche esponente degli svariati partiti comunisti che difendono la democrazia in Italia voterà forse contro?” “Assolutamente no.” “E allora perché ti agiti tanto? Non vedi che anche oggi il governo Prodi è al sicuro?” “Assolutamente no.” “La politica italiana non la capisco, ci rinuncio.” “Infatti stavolta non si tratta di politica strettamente italiana.” “Si vota su un caso di politica estera?” “No, di politica interna.” “…” “Però un voto decisivo contro il governo potrebbe venire da…” “Il partito per gli Italiani all’estero!” “No, quello stavolta sta tranquillo. Il pericolo viene dalla Sudtiroler Volkspartei, il partito degli stranieri in Italia.” “Cos’è la Sood Teer Hole Hervaulkes Pur Tie?” “Un partito che fa parte del gruppo Per le Autonomie e che rappresenta il Sudtirolo.” “E che cos’è?” “La parte di Italia in cui tutti parlano tedesco e sognano di essere austriaci coi soldi degli altri italiani.” “Ma prende molti voti in Italia, questo caratteristico partito tedesco?” “In Italia nessuno, in Sudtirolo tantissimi, ragion per cui il governo più traballante della storia della Repubblica per governare ha bisogno anche dei suoi senatori, e li ha tirati dentro.” “Come si chiamano questi senatori?” “Manfred Pinzger e Helga Thauler Ausserhofer.” “’Sta minchia”, considera l’ipotetico inglese, “e voteranno contro?” “Può darsi.” “Perché?” “Perché si sono resi conto di avere nomi difficili e vogliono che i giornali parlino di loro più spesso; o perché vogliono che tutti gli altri partiti della maggioranza si vestano con abiti tipici tirolesi e cantino lo yodel; o perché come tutti i mitteleuropei sono dei mattacchioni e vogliono fare uno scherzo; o perché, meno probabilmente, all’improvviso e per la prima volta in vita loro vogliono fare qualcosa di utile per l’Italia, forse.” “E quindi oggi il governo cadrà grazie agli eroici Helmut Strunzer e Sberla Panzer Cazzerhofer?” “Macché, tutto fiato sprecato.”

Così che alla fine l’ipotetico inglese se ne torna da dove è venuto, senza più lamentarsi di avere al momento un Primo Ministro in carica che s’è già dimesso da un mese, e un Primo Ministro che lo sostituirà fra qualche settimana e che sta facendo campagna elettorale, pur non avendo alcun avversario, deprecando la politica del suo predecessore al governo, di cui lui era ministro delle finanze.

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