venerdì 10 agosto 2007

Pagine

Dice che c’è chi ha il blocco dello scrittore. Vorrei averlo io: stamattina ho scritto sette pagine di narrativa, poi ho letto un centinaio di pagine dell’ultimo romanzo di Gaetano Cappelli, poi ho corretto un articolo accademico di una settantina di pagine e ora ecco la defatigante paginetta di blog con la quale vi onoro di quando in quando. Ma chi te lo fa fare?, direte voi (sentendovi ben poco onorati, mascalzoni); perché non fai qualcosa di più costruttivo che scrivere su un blog, ad esempio citofonare ai vicini di casa e indirizzar loro degli anonimi rutti quando rispondono?

Tanto più, dico io, che questa faccenda dei blog è diventata ammorbante, fondamentalmente per tre motivi. Il primo è che aprire un blog è talmente facile e immediato (ci sono riuscito perfino io) che finisce per aprirlo anche chi non ha nulla da dire. Il secondo è che, non sapendo cosa dire, si finisce per ripetere cose già dette (il più delle volte scrivendole tragicamente peggio dell’originale). Il terzo è che internet non esiste; siti e siti interi non hanno il peso specifico di una sola pagina stampata. Poi uno magari non considera questi tre ragionevolissimi motivi e finisce per aprire il proprio blogghe pneumatico, non solo, continua ad aggiornarlo anche quando non ha nulla da dire – e su questa bolla di nulla può capitare che galleggino i blogger un po’ più talentuosi, che si montano la testa e si candidano alla Presidenza del Consiglio. Uno scrittore non lo farebbe mai. Un giornalista, forse, nemmeno. Tranne Furio Colombo, ci mancherebbe.

Quindi, so benissimo che farei meglio a tacere, così almeno mi riposo. Se oggi scrivo, invece, è perché sono spinto dalla necessità di affrontare un tema di dirimente importanza per la Patria: I Soliti Ignoti.

No, sul serio: la graziosa trasmissione con Fabrizio Frizzi (infilata dopo il Tg1, così da spingere la prima serata verso la mezzanotte) non lo dice ma si propone, secondo me, di indagare sulla società civile e di presentare l’Italia allo specchio, contemplando un concorrente che magari fatica a riconoscere l’identità di un tizio che fa il suo stesso mestiere. O anche peggio: l’altra sera un boato aveva accolto il sembiante di Klaus Dibiasi, il quale presentandosi aveva scandito il proprio glorioso (e poco confondibile) nome; ma il concorrente aveva scartato recisamente l’ipotesi che Dibiasi avesse qualcosa a che fare coi tuffi o con le Olimpiadi, preferendo attribuirgli una gelateria, o un’edicola, o cose simili. Personalmente, dopo una figura del genere mi sarei suicidato sia se fossi stato il concorrente (per la vergogna) sia se fossi stato Dibiasi (per lo sconforto; in tal caso però avrei anche provveduto personalmente al suicidio del concorrente).

Insomma, più che I Soliti Ignoti: identità nascoste, la graziosa trasmissione con Fabrizio Frizzi doveva chiamarsi Crisi d’Identità, e avere come sottotitolo L’Italia che non si riconosce. Ma coi titoli, si sa, non sempre ci si azzecca (valga come esempio che Domenico Modugno intitolò Nel blu dipinto di blu la canzone che tutto il mondo avrebbe ribattezzato Volare), pertanto non faccio storie. Piuttosto mi sorprende che, forse per accondiscendere alla conclamata bonarietà di Frizzi, i mestieri da associare alle facce e ai nomi anonimi (povero Dibiasi) siano tutti caratterizzati positivamente. C’è il bravo cantante, l’ottimo grattacheccaro, il solerte custode del maniero e così via; il peggio che possa capitare è essere, che ne so, sorella di Pupo, anzi no, parrucchiere di Totti (li avete stentiti gli ululati coi quali il pubblico, riconosciutolo, ha accolto il coiffeur?). Sotto l’ottimistica egida di Frizzi viene presentata un’Italia in cui ogni misterioso personaggio fa bene il proprio dovere ed è felice di farlo: forse per questo i concorrenti non riescono a riconoscerli. Tanto più che, ironicamente, il tutto va in onda dopo il Tg1 dove, di disfunzione in disfunzione, fra le righe si fa il resoconto dell’esatto contrario.

Per l’auditel ho un interesse quasi inferiore a quello per internet (in generale, mi lasciano perplesso le parole che non terminano in vocale), quindi non so minimamente se gli ascolti de I Soliti Ignoti siano soddisfacenti o meno. In ogni modo, per rendere il gioco più interessante (e anche per facilitare i concorrenti, poveracci) propongo una variante: fare una, almeno una, puntata in cui di ogni personaggio misterioso venga presentato il peggior difetto, o se non altro qualcosa per cui ci si debba vergognare.

Vedremmo allora il concorrente portato a scegliere fra identità del genere: è figlia di un Vescovo; si fa chiamare Samantha; ha venduto esami di laurea; smarrisce bagagli altrui; spara ai canadair; non paga i dipendenti; fa la comunione senza confessarsi; la dà solo a chi la tratta male; risulta morto; plagia romanzi; vota per i Verdi; attacca ovunque gomme da masticare usate; tradisce sua moglie con l’amante di lei; ha rovinato Alitalia; non stira le camicie ma ci si siede sopra; legge Repubblica; ha la gonorrea; scrive; non tira lo sciacquone per principio; sogna un mondo migliore; è stato sottosegretario; etc.

Con un giochino del genere si potrebbe riempire un’intera prima serata, sottoponendo il concorrente non a dieci ma a cento identità nascoste. Secondo me le indovinerebbe tutte.

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