martedì 9 ottobre 2007

Tanto a poco

L'importante è perdere.
(Giorgio Manganelli)
Come per giocare a golf, per fare i critici letterari essere cretini non è necessario però aiuta. L’altro giorno leggevo che un professore dell’università di Manchester, invece di vergognarsi di insegnare all’università di Manchester, sproloquiava negando la patente di grande autore a Martin Amis perché questi si era macchiato di razzismo sostenendo che i mussulmani sono responsabili dell’attentato alle Torri Gemelle, e assurdità simili. Il critico, che per convenzione chiameremo professor Cacchetta, tutto tronfio spiega che la gloria letteraria può essere conseguita soltanto previo superamento dell’esame di politically correctness, e che quindi vada negata a un autore che parli leggermente male dei mussulmani, o che dica “negro” invece di “diversamente bianco”, o che lasci trasparire il sospetto che le femminucce siano tutte un po’ baldracche.
Parallelismo inconsulto: le prime pagine dei quotidiani nazionali, oggi, dedicano discreto spazio alla notizia che i pulcini dell’Inter hanno sconfitto i pari età del Pergocrema, poveracci, per 40 a 0. Corre voce che questi ragazzini prematuramente affetti da interismo avrebbero dovuto invece fermarsi a un certo punto (sul 36-0? sul 24-0? sul 10-0? sull’1-0?), e serpeggia il sospetto che così facendo abbiano invece bloccato lo sviluppo degli avversari. Lo sport ha il grande vantaggio di seguire criteri oggettivi, ovvero i punteggi, ma si ritiene più etico ammorbidirne l’oggettività quando i criteri diventano troppo crudeli; se uno poco poco si accorge di star vincendo, e quindi di essere superiore, non sta bene che ribadisca quaranta volte la propria superiorità. Ne basterebbero un paio. Ma in assoluto sarebbe meglio pareggiare.
Il professor Cacchetta e i più strenui difensori del Pergocrema (difensori teorici, ché i difensori veri e propri a quanto ho capito non si sono impegnati gran che) hanno in comune la vocazione alla sconfitta, o meglio il desiderio di stare sempre dalla parte del più debole, vezzeggiandolo e coccolandolo fino alla negazione dell’evidenza dei dati oggettivi (ossia che i mussulmani hanno qualcosa a che vedere con l’11 settembre, e che una squadra che perde 40-0 evidentemente merita di perdere 40-0). Da Pergocrema, vari disfattomani negano l’essenza del calcio; da Manchester, il professor Cacchetta nega l’essenza stessa della letteratura e in particolare di quella umoristica alla quale Martin Amis appartiene per gene ereditario (è figlio di Kingsley Amis). Il professor Cacchetta sogna un mondo di grandi scrittori tutti intenti a ricamare buoni sentimenti, tutti intenti a elogiare la superiorità del diverso e ad applaudire gli errori altrui. Un mondo letterario in cui non si spenda una sola parola contro i mussulmani, in cui le donne non siano toccate nemmeno con un fiore, in cui vengano esposte solo le idee politiche giuste e accettabili. Una letteratura in cui non ci sia una sola parola fuori posto, in cui nessuno possa sentirsi superiore a un altro e che possa incontrare il plauso unanime dell’umanità tutta: ovvero una noia mortale. È il criterio col quale di solito viene assegnato il Nobel, peraltro.

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