martedì 12 febbraio 2008

Libertà di censura

I giornali italiani brillano sempre per la capacità di riuscire a mettere in risalto, fra due attigue, la notizia meno importante. Oggi il Corriere della Sera dedica un paginone alla notizia che Giuliano Ferrara si impegnerà in prima persona nella sua lista pro-vita (o anti-aborto, che è la stessa cosa, non fidatevi dei sofismi progressisti), e soltanto un inciso alla necessità che quindi, per legge, lo stesso Ferrara sia costretto ad abbandonare Otto e Mezzo.

La vera notizia non è tanto la lista, che era nell’aria da settimane, quanto l’abbandono forzato. Dovete sapere che in Italia non c’è libertà di parola, o quanto meno se ne fraintende il senso. La televisione viene percepita come mezzo infame che porta a votare compulsivamente per la persona che vi appare di più: è il solito retaggio dell’antiberlusconismo cieco, quello che ritiene che Berlusconi vinca perché possiede tre reti televisive e non perché sa usare la televisione come mezzo comunicativo. Quest’idea non tiene presente due fattori: il primo, che il coltello (ossia il telecomando) è nelle mani dell’utente, il quale può far sparire in un nanosecondo il faccione di chiunque non gli aggradi; il secondo, che non sempre la visione reiterata conduce al gradimento. Ho conosciuto molte persone che si facevano un dovere di ammazzare Pippo Baudo per il solo irragionevole motivo di averlo visto troppo spesso.

Il risultato del pregiudizio antitelevisivo è che, allo scopo di eliminare la distanza che nel corso di innumerevoli passaggi televisivi necessariamente si verrebbe a creare fra (poniamo) un Berlusconi che sfonda lo schermo e un Prodi tutt’al più buono a sputacchiare sul cameraman, si è optato per razionare i medesimi passaggi e imbrigliare la creatività del parlatore (pensate all’orrendo faccia a faccia del 2006 fra due candidati premier imbalsamati), così da eliminare in partenza il vantaggio del più bravo, percepito come ingiusto.

Siamo una nazione che fraintende la giustizia come livellamento verso il basso; ne consegue che ad ampie falcate stiamo diventando una nazione di mediocri. Il caso-Ferrara è eloquente: con indiscutibile coraggio, il direttore di un quotidiano (già anchorman televisivo, già ministro della Repubblica, già studioso di Leo Strauss) decide di mettersi in discussione con una lista elettorale i cui obiettivi potranno essere percepiti come discutibili (io non li discuto, sia chiaro), e la prima diretta conseguenza della sua scelta è che deve mollare la trasmissione che con un guizzo di genio ha fondato e che con ammirevole ostinazione ha condotto giorno dopo giorno nel corso degli anni.

Ora chi lo spiega a mia madre, che guarda Otto e Mezzo pressoché ogni sera? Il ragionamento che potrei farle è il seguente: Ferrara non potrà più prendere parte a Otto e Mezzo per non svantaggiare troppo i suoi competitori elettorali che, nel corso della loro lunga vita, non sono stati in grado di metter su uno straccio di trasmissione televisiva né di dire qualcosa di intelligente fissando la lucetta rossa della telecamera che li inquadrava. Ahi, serva Italia!


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