martedì 20 gennaio 2009

Commander in chief

Mi sorprende che una persona brillante come Peter Sloterdijk, l’ultimo filosofo, concluda un’intervista allo scorso numero del domenicale del Sole 24 ore con la considerazione che quest’Obama, col suo solo venire eletto, ha cambiato il mondo. Ho avuto modo di leggere Sloterdijk e di ascoltarlo di persona molto a lungo, quindi so per certo che una considerazione del genere non è all’altezza della sua intelligenza né del restante contenuto della sua pur breve intervista. Tuttavia trovo improbabile che si tratti di un’interpolazione creativa dell’intervistatore, che magari s’è limitato a prendere una considerazione interlocutoria di Sloterdijk e a collocarla con estremo risalto lì dove non meritava di essere. Quest’Obama, col suo solo venire eletto, non ha cambiato una mazza – non c’è bisogno di essere filosofi per capirlo. E col nome che si ritrova, se qualcosa cambierà sarà in peggio. Ne segue che l’unica cosa che gli Stati Uniti e il mondo possano augurarsi è che Obama eviti di distinguersi anche solo minimamente dall’amministrazione Bush jr.


Noi Italiani spesso riteniamo di dover parlare solo perché abbiamo un terzo buco sotto le narici, e andiamo elencando gli errori dell’amministrazione Bush jr e della dottrina che la supportava. Le sue colpe principali sono state quelle di voler difendere il suo Paese e di volerlo fare sulla base di principii generalissimi accettabili per tutto l’Occidente. Era in pieno diritto di fare entrambe le cose, e chi l’ha contestato in altri tempi veniva definito disfattista.

Chi lo critica solo per la politica estera non tiene conto di quanto compiuto sul fronte interno a cominciare dal No Child Left Behind Act, praticamente il giorno dopo del suo insediamento otto anni fa. Tendenzialmente è stato evidente il suo tentativo di lasciarsi alle spalle un’America migliore. Chi lo critica per la politica economica non s’è reso conto che dall’inizio del 2001 alla fine del 2008 gli USA hanno avuto uno sviluppo certificato del 18%, più di qualsiasi altra nazione al mondo. Chi lo critica per la politica militare avrebbe dovuto trovarsi nei pressi delle Torri Gemelle e non a concionare dal divano di casa propria.

In assoluto, l’amministrazione Bush jr s’è sporcata le mani più dell’amministrazione Clinton, e anzi ha passato il primo mandato a risolvere i problemi che ne aveva ricevuto in eredità. Questo con tutti gli errori che prima o poi commette chi decide di combinare qualcosa. Se uno non fa nulla, sicuramente non sbaglia mai.

Non sono Americano e quindi non posso giudicare appieno, ma come Occidentale ho avuto l’impressione che Bush jr fosse fra i vari Presidenti di cui ho avuto contezza quello che ha voluto agire di più, in assoluto, e che ha voluto farlo non considerandosi solo capo di una nazione ma primo e più potente fra i capi di nazioni riuniti dagli stessi ideali.

La più alta garanzia sulla politica di Bush jr è stata la sua radicalità pro-life, che è il punto irrinunciabile sul quale si sono poggiate tutte le sue altre battaglie.

E così, dopo otto anni passati a tentare di salvare il salvabile combattendo uno che si chiamava Hussein e uno che si chiama Osama, l’America oggi si consegna a uno che si chiama Hussein Obama. Bel progresso. E quando Bush sarà rimpianto dall’America e dall’Occidente, allora vorrà dire che quest’Obama ce lo siamo meritati.

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