venerdì 20 febbraio 2009

Letterine letterarie (20)

Illustre Gurrado,
ho sbagliato, mi scuso e me ne vo.
W

Illustre onorevole,
poco m'importa che lei abbia fallito (e sottolineo l'ausiliare abbia, non sia): per il suo partito poteva fare i migliori numeri di questa terra, comunque non l'avrei votato giammai, e comunque avrei continuato a preferirle istintivamente, per sotterranea simbiosi fra cattivi, la persona che l'ha appena fatta fuori e che è la stessa ad aver fatto fuori, in saecula, già Natta, Occhetto, Prodi la prima volta, Rutelli e Prodi la seconda volta. Non parlo di Berlusconi, lo sa meglio di me.
Piuttosto, caro W, lei s'è dimesso in un Paese dove non si dimette mai nessuno (e sa meglio di me pure questo: ossia che le regionali in Sardegna erano una scusa, mentre il vero motivo erano le primarie di Firenze). Questo le schiude orizzonti nuovi. Non è riuscito a cambiare la politica dal di dentro come voleva (ma voleva veramente? e, soprattutto, volevano?), ora ha l'occasione di cambiarla dal di fuori. Non se ne vada in Africa, per carità, si trattenga dal gesto estremo. Si rilassi e legga. Scriva. Guardi dei film. Quando le viene l'uzzolo mandi qualche lettera ai giornali, coi toni di Arbasino però, non di Veronica Lario. Non vada all'Isola dei Famosi ma cerchi di entrare in giuria. Sia ospite al Festival di Sanremo fra un paio d'anni, ma senza voler condurlo. Curi i suoi figli, ma non nella maniera minacciosa in cui Prodi intendeva badare ai propri nipotini, che staranno facendo il count-down per la maggiore età. E non faccia come lui, che questa settimana è andato a Oxford a fare il dottor Balanzone; accetti invece serenamente di non avere niente da insegnare, si sieda ai bordi della strada e guardi - con un accenno di derisione - i poveracci che devono camminare spediti o correre per non finire da nessuna parte e per non arrivare comunque in tempo. A sorpresa faccia un salto in Parlamento, finché può, e voti contro qualsiasi cosa.
Le parlo sinceramente e non c'è ombra di dileggio nelle mie parole. Non ho mai letto un suo romanzo (costano troppo e la vita è breve), ma so bene che li ha scritti per passione - non per sete di gloria o di pubblicità - e che con ogni probabilità sono veramente frutto della sua penna, o della sua tastiera, a seconda. So perfettamente, perché lui lo leggo, che lei è stato un personaggio di un romanzo di Ian McEwan (mica come il sindaco Alemanno, che ieri avrà pur rilasciato una monumentale intervista al Foglio ma che tutt'al più è stato personaggio mascherato in un film di Virzì). So che ama il cinema come forse nessuno in Italia, che s'intende (anche per geni ereditati) di comunicazioni di massa, che ha una predilezione per la commistione fra generi alti e bassi, che intende recuperare la cultura pop e restituirla generosamente a piene mani. Lei è uno dei pochi che, qualora la politica dovesse miracolosamente sparire da un giorno all'altro, non resterebbe inebetito e disoccupato.
Allora abbia coraggio, per un'ultima volta ancora. Dimostri che anche in Italia dalla politica si può uscire vivi. Non marcisca nel partito che ha fondato, non s'incartapecorisca sul seggio che occupa da trent'anni. Non tenti di ritornare sindaco della sua città: sia felice di essere un romano fra milioni, un cittadino fra tutti, e si goda il meraviglioso posto in cui abita. Realizzi il sogno di tutti gli Italiani: alzarsi ogni mattina senza dover combinare qualcosa di spiacevole per sopravvivere fino al giorno appresso; si dedichi all'ozio, nel senso latino del termine. Lasci che gli altri si azzuffino, si dannino, si menino - e dedichi la sua non poca intelligenza a ogni insenatura della cultura.
Adesso può finalmente entrare in una libreria quando le pare e uscire ogni volta con due sporte piene di novità e grandi classici. Adesso può andare ai giardini e sprofondare nei libri tanto intensamente che tutti la riconosceranno e nessuno vorrà venire a disturbarla. I suoi scritti potranno finalmente durare più pagine, oppure venire stampati in carattere più minuscolo. Può unirsi a noi nel tentativo di scrivere una volta per tutte il Grande Romanzo Italiano: ormai questa nazione dovrebbe conoscerla piuttosto bene. Smetta di sentire il dovere di presentarsi all'Olimpico con la sciarpa della Roma se vince la Roma, o con la sciarpa della Lazio se vince la Lazio: ogni due settimane invece pigli la sciarpa bianconera e vada a Torino a fare il tifo per la squadra che ama davvero. Se casa sua ha un terrazzo, si goda i tramonti portando con sé l'enciclopedia delle figurine Panini dal 1960 all'altro ieri, e veda i suoi cari ricordi (Dal Sol, Lodetti, Mastropasqua) trascolorarsi nell'orizzonte infocato. Vada ogni sera in un cinema diverso e faccia i complimenti agli spettatori per il film che hanno scelto di vedere. Guardi la tv cambiando canale ogni volta che finisce la pubblicità, così le trasmissioni della De Filippi o della D'Eusanio non interromperanno l'emozione. Si dedichi a un'approfondita rassegna di tutti i quotidiani Italiani, tranne l'Unità: strappi a una a una le pagine di politica, le accartocci e ci giochi col gatto (ce l'avrà un gatto, lei, vero?). Passi ore e ore su Facebook, senza rimorso alcuno. Dorma dieci ore a notte. Ogni tanto telefoni a Franceschini, con l'occultamento di numero, e gli faccia una pernacchia, ma senza esagerare.
Caro W, lei ha sbagliato i suoi calcoli credendo che la sua irripetibile occasione storica fosse la fondazione del nuovo partito, del quale ha azzeccato soltanto il simbolo tricolore (lo so, lo so, avrebbe azzeccato anche altro se solo gliel'avessero lasciato fare). La sua irripetibile occasione storica invece è questa: dilatare all'infinito le sue dimissioni, lasciando che si ripercuotano su tutto il resto della sua vita; non dover fare più niente e poter fare tutto ciò che ama. W lei, dunque, se riuscirà finalmente a darsi a un rilassato mecenatismo intellettuale senza chiedere alcun voto in cambio. Se mi spedisse un suo romanzo, potrei addirittura leggerlo.

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