martedì 17 marzo 2009

Quando la realtà supera la fiction


Ieri notte sono andato a letto all'una e su Rai1 c'era Gasparri. Stamattina mi sono alzato alle 8 e su La7 c'era Gasparri. Gaspa', ma hai dormito in tv?

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Allora, questa fiction su Di Vittorio. Non credo di dover sottolineare che l'ho vista soprattutto perché è stata in gran parte girata non a Cerignola, com'era prevedibile, ma praticamente dietro casa mia (ma c'è anche un altro motivo: le alternative erano domenica La Fattoria e lunedì il Grande Fratello, vedete voi). Le principali scene di massa erano tutte nella piazza della Cattedrale di Gravina, sulla quale si affacciano anche la chiesa di Santa Maria (piccola ma sentita), il museo diocesano (che nella fiction diventava la casa dei padroni), il seminario vescovile (nella fiction, un bar), la chiesa del Purgatorio (che nella fiction era effettivamente una chiesa: col problema che non lo è più nella realtà) e la Biblioteca Finya (nella fiction seggio elettorale, nella realtà lo sa solo il Signore e forse l'ex sindaco). Purtroppo non è stata accuratamente coperta la statua dedicata all'unico Papa gravinese, Benedetto XIII, eretta qualche anno fa e che nell'economia della fiction risaltava non tanto per l'anacronismo quanto per bruttezza e sproporzione. Essa ha infatti due caratteristiche principali, che elenco qualora non abbiate potuto intuirle: è brutta e sproporzionata. La televisione, che generalmente rende più belle e proporzionate le persone, non così fa per le statue - questa è stata la triste conseguenza tratta da quattro ore di film. La scena della resistenza nella Camera del Lavoro di Bari, che nelle intenzioni del regista doveva essere immortale, credo sia stata in realtà girata alla Curia Vescovile di Altamura. Non oso immaginare dove siano state girate le scene ambientate a Roma e a Washington.

I titoli di coda si aprivano con speciali ringraziamenti a Nichi Vendola, il che è tutto dire. Curiosamente la tradizionale accuratezza storica delle fiction, in cui i personaggi sono del tutto buoni (Di Vittorio, la moglie, Bruno Buozzi, i lavoratori) o del tutto cattivi (gli altri) e in cui le sfumature caratteriali sono sbozzate con la scimitarra, finiva per diventare una sorta di rilettura quasi rivoluzionaria della politica postbellica e un'anteprima scenica della puntata di Porta a porta (quella con Gasparri) dedicata alla storia dei missini esiliati in patria. Avendo dovuto utilizzarli per mettere in risalto la statura morale di Di Vittorio, la ficiton aiutava a capire che genere di personaggi come minimo ambigui e come massimo spregevoli fossero stati De Gasperi e Togliatti. Se i padri della Patria sono questi, non c'è da stupirsi dei figli. Geniale e forse involontaria satira della Costituzione nel serrato dialoghetto fra Di Vittorio e un amico: "L'Italia è una Repubblica!" "Ma io sono disoccupato".

A un certo punto c'è l'attentato a Togliatti (per i laureati in Storia Contemporanea vittime della riforma del tre più due: 1948) e la fiction fa capire che la guerra civile viene evitata per il decisivo intervento di Di Vittorio che convoca lo sciopero generale dopo aver contrattato con Scelba. Qualche anno fa c'era stata una fiction su Bartali con annesso attentato a Togliatti pure lì: la fiction faceva capire che nella circostanza la guerra civile veniva evitata per il decisivo intervento del vecchio Bartali che con un'impresa eroica conquistava tappa e maglia al Tour de France dopo aver ricevuto una telefonata da De Gasperi. In entrambi i casi possiamo essere certi che, se nel 1948 non è scoppiata la guerra civile, l'Italia lo deve al decisivo intervento di Pierfrancesco Favino.

Incerta la riuscita dell'operazione Francesco Salvi versione drammatica. Alla fine Bruno Buozzi viene fucilato dai nazisti ma lo spettatore continua ad aspettarsi che da un momento all'altro salti su a cantare: "Facciamo tutti dei versi / siamo una grande tribù. / Non siamo tanto diversi / dai prova a farlo anche tu".

Io non voglio una Repubblica fondata sul lavoro. Voglio una Monarchia fondata sulle vacanze.

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Quando leggo il giornale salto sempre le pagine dedicate alla cronaca: se ho voglia di avvenimenti sensazionali preferisco leggermi un romanzo. Per questo non ho ben chiaro cosa sia successo a Giuliano Soria, presidente del Premio Grinzane Cavour. Di preciso ricordo solo una frase di Giorgio Manganelli: "C'è bisogno di brave persone dappertutto tranne che in letteratura".

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