domenica 17 luglio 2011

Stanotte, mentre io dormivo e voi spero pure, l'Uruguay ha eliminato a domicilio l'Argentina dalla Coppa America. Evviva. Per festeggiare la nazionale più celeste del mondo, e per spiegare i motivi del suo fascino su di me e su qualsiasi persona ragionevole o competente, ripesco da Quasi Rete il panegirico in occasione della qualificazione in extremis agli ultimi mondiali ("Il lato giusto del Rio de la Plata", 20 novembre 2009), la cronaca dell'epica sconfitta in semifinale contro l'Olanda ("Bambino triste come me", 7 luglio 2010) e trascrivo, nientemeno, la cronichetta della madre di tutte le Uruguay-Argentina, ossia la finale del primo Mondiale, tratta dal volume Mondiali: dal 1930 a oggi. La Coppa del Mondo e i suoi oggetti di culto, scritto da me e Gino Cervi e pubblicato da Bolis nel 2010:

Allo stadio Centenario va in scena la finale che tutti aspettavano: i bicampioni olimpici dell’Uruguay contro i bicampioni sudamericani dell’Argentina. Le due nazionali rioplatensi si erano fino ad allora spartite 10 coppe continentali su 12. La rivalità e estrema e scende nei dettagli: pur di accontentare entrambe, l’arbitro belga John Langenus deve far giocare il primo tempo con un pallone più leggero, scelto dagli argentini, e il secondo con uno più pesante scelto dagli uruguagi. Alla fine saranno due partite diverse: al 45’ l’Argentina condurrà 2-1 ma nella ripresa l’Uruguay ritornerà prepotentemente e con tre reti strapperà la conferma definitiva della sua supremazia.
John Langenus è l’arbitro più famoso del tempo: data l’accesissima rivalità tra Uruguay e Argentina, per dirigere la finale aveva chiesto e ottenuto un’assicurazione sulla vita. Quel ruolo doveva tuttavia essere molto ambìto: nell’ora precedente l’arrivo di Langenus allo stadio del Centenario la security aveva fermato ai cancelli ben tredici individui che avevano tentato di spacciarsi per lui.
Apre le marcature l’uruguagio Pablo Dorado con un tiro di potenza. Ribalta l’Argentina coi soliti Stabile e Peucelle ma nel secondo tempo Pedro Cea e Santos Iriarte finalizzano due azioni geniali: un assist in rovesciata di Héctor Scarone e uno slalom di Ernesto Mascheroni. La gloria del quarto goal all’ultimo minuto spetta a Héctor Castro, detto el Manco perché – di professione falegname – tempo addietro aveva lasciato la mano destra sotto una sega elettrica. Resta a secco il miglior uruguagio, la maravilla nigra José Leandro Andrade, prototipo del centrocampista moderno.