giovedì 13 ottobre 2011

Uno dei principali tormenti degli storici, e in particolare di coloro che si occupano di storia di testi (filosofici, letterari, teatrali), è l'impossibilità di sancire con prove cogenti la maggior parte delle idee non chiaramente espresse nei medesimi testi ma che sembrano balenare qua e là come puntini da unire in una figura coerente. Per molti versi il lavoro dello storico in questi casi è orribilmente simile al paradossale giochino inventato da Renzo Arbore per Indietro tutta, quando faceva inquadrare un volto muto e immobile mettendo in sovraimpressione la scritta: "Cosa-sta-pensando-quiz".


Su Tempi in edicola questa settimana recensisco l'ardita ipotesi di Elisabetta Sala, secondo la quale Shakespeare avrebbe disseminato le proprie opere di indizi per testimoniare a contemporanei e posteri la propria segreta fede cattolica.