giovedì 1 dicembre 2011


Da quando Michela Murgia mi ha definito “maschio e maschilista”, non solo in pubblico ma di fronte alla vasta platea di un collegio universitario femminile, non ho più paura di nulla; quindi posso scrivere senza patemi quanto segue.

Ma che gente frequento? Da ieri pomeriggio ininterrottamente molti giovanotti e giovinette che risultano miei amici su facebook se la stanno prendendo con Libero, che stando ai loro resoconti ieri ha proposto di “chiudere qualche facoltà per aprire più reparti maternità”. Per fortuna anche l’articolo in questione è opera di una persona che frequento e che leggo abitualmente, Camillo Langone, il quale con toni mai così moderati ha evidenziato alcune verità statistiche evidenti a chiunque non vada permanentemente in giro con una copia di Repubblica sugli occhi:
1)      gli italiani non vogliono fare i genitori;
2)      se non nascono figli agli italiani, l’Italia verrà riempita per mera legge fisica dai figli degli stranieri;
3)      la religione, a sorpresa, non sembra avere grande influenza come argine al calo delle nascite, che colpisce parimenti nazioni a maggioranza islamica e a maggioranza cristiana;
4)      dove aumenta la scolarizzazione femminile la maternità diminuisce.

Poiché so che i miei amici di facebook tendenzialmente non mi leggono, mi permetto di criticarli consapevole che ciò non intaccherà i nostri rapporti. I loro lamentosi schiamazzi, pregiudiziali e ripetitivi, non tengono conto di alcuni fattori cogenti:
a)      la posizione espressa nell’articolo di Langone non può essere identificata tout court con la posizione di Libero, che ha dedicato la stessa pagina 17 a un articolo di orientamento opposto scritto da Selvaggia Lucarelli (titolo: “Ma quale cultura? Serve solo più welfare”);
b)      la classica protesta secondo la quale le giovani italiane non fanno più figli perché guadagnano troppo poco è viziata da due paralogismi, vulgo fesserie:
i)                    non considera che situazioni di indigenza estrema non hanno trattenuto le italiane da figliare come chiocce nei secoli passati;
ii)                  rafforza involontariamente la posizione di Langone: è ovvio che le donne guadagnino poco, se si laureano tutte in lettere moderne;
c)      nell’articolo incriminato non c’è scritto niente di nuovo:
i)                    sia in senso relativo, in quanto Langone aveva pochi giorni fa sostenuto sul Foglio la medesima teoria (che non è ripetitiva, è solo giusta) e non era insorto nessuno;
ii)                  sia in senso assoluto, in quanto lo stesso Langone esprimendo tale teoria sul Foglio si era rifatto a Thomas Bernhard (che riteneva l’ignoranza il miglior incentivo alla gravidanza); e se vogliamo dirla tutta il ministro inglese David Willetts, che Langone citava ieri in chiusura d’articolo, sostiene la medesima teoria dai tempi in cui era all’opposizione, tanto che io stesso, si parva licet, gli avevo dedicato un articolone risalente ormai a quasi due anni fa.

Insomma, se qualcuna voleva protestare poteva farlo a suo tempo: accanirsi contro un articolo solo perché viene pubblicato su Libero e viene citato fuori contesto dal vario sottobosco di siti del progressismo viola è un po’ tardivo. Se vogliamo entrare nel merito della questione, potrei raccontarvi un episodio autobiografico che svela come il dilemma figli o istruzione sia un gioco a somma zero: negli scorsi anni mi sono avvalso dell’aiuto costante e benefico di una madrelingua per risolvere complicati problemi di traduzione in francese; costei ha avuto un bambino da poco e quando le ho chiesto aiuto per una semplice questione grammaticale non ha più avuto tempo di rispondermi, e giustamente perché chiunque abbia metà del buon senso necessario a non infilare le dita in un tritacarne si avvede di come prendersi cura di un bambino sia molto più importante della grammatica e pure della sintassi.

Mi sembra però più divertente farvi notare che, alla luce di quanto ho scritto sopra, chi ha criticato Libero per quest’articolo ha dimostrato in un colpo solo di:
I)                   non saper considerare un testo all’interno del suo contesto immediato, visto che non hanno notato l’articolo di fianco a quello di Langone;
II)                non saper considerare un testo all’interno del suo contesto storico, visto che non hanno saputo metterlo in correlazione con quello che Langone aveva scritto in articoli e libri degli anni passati;
III)             non riuscire a distinguere un articolo firmato dalla posizione della redazione di un giornale;
IV)             non leggere né giornali né libri (Langone pubblica con Mondadori e Marsilio, mica con La Compagnia del Torchio Rovente) a meno che non siano segnalati, già digeriti, da siti di veline progressiste;
V)                non saper distinguere la dura statistica dalle loro pie intenzioni o da ciò che sta bene dire in società;
VI)             non saper scrivere altro che non sia la cassa di risonanza di un’opinione altrui.

Sei numeri romani sono più che sufficienti per sancire che chi s’è messo ad abbaiare contro questo famigerato articolo di Libero, in buona sostanza, non sa leggere; quindi se studiasse di meno e facesse qualche figlio in più non sarebbe una gran perdita per l’Italia.