lunedì 20 febbraio 2012


Poche chiacchiere: il Festival l’ha vinto Belen, dimostrando che un nanosecondo di svolazzo fa dividere e palpitare più di un’ora e mezza di sermone di Celentano; l’ha vinto causando l’intemerata di Elsa Fornero su ruolo e immagine della donna in tv; l’ha vinto costringendo Pierluigi Bersani a intervenire nella diatriba dichiarando che il modello per sua figlia dev’essere il ministro e non la farfallina. Al che si sono aperte le cateratte di Repubblica: non solo con Concita De Gregorio, che auspica per l’anno venturo un Festival presentato da “Geppi Cucciari affiancata da due valletti maschi nudi e cretini con una bella balena tatuata sull’inguine”, ma perfino con la brillante Natalia Aspesi. Costei, pur criticando chi critica Sanremo perché lo trova “orrendo, banale, porno, ignorante, immorale, blasfemo, muffo, inutile, vergognoso, scemo”, non s’è trattenuta dallo scorgervi “un Festival pieno di maschi anziani”, con tutte le lubriche conseguenze del caso: un po’ come quando Nichi Vendola rimproverò i politici di essere troppo maschi, troppo vecchi e troppo rincoglioniti per governare l’Italia come si deve.

La vittoria di Belen è stata talmente fulgida da dover essere controbilanciata da un podio tutto femminile, benché ancora oggi nell’iconografia festivaliera per ogni foto di Emma col trofeo si trovino dieci inguini tatuati; è stata talmente schiacciante da ottenebrare le menti al punto di non riconoscere che oltre agli estremi opposti Belen/Fornero esistono anche modelli femminili intermedi. Uno, ideale, rischiava di passare inosservato, confinato ai ritagli di tempo e agli orari da nottambuli della gara dei giovani, però qualche attenzione l’ha attirata. Se avessi una figlia vorrei che fosse come Erica Mou, non solo perché è graziosa ma composta, non solo perché quando canta scandisce ritenendo che il testo non sia d’ostacolo all’ascolto, e non teme di infarcirlo di parole di quattro sillabe. E nemmeno perché è spigliata, non si perde d’animo quando Morandi la chiama Enrica ma imbraccia la chitarra e, a ventun anni, canta la vecchiaia sorridendo.

Erica Mou è un modello perché non si fa vanto di essere giovane preferendo essere brava, non piange a fine esibizione, non si lamenta del destino avverso che la fa classificare seconda alle spalle di un adolescente il cui massimo pregio artistico è di saltellare su un piede mentre canta; non si sente  sottovalutata perché donna, non ingaggia la polemica contro l’ottusità del voto popolare, non minaccia di abbandonare quest’Italia che non premia il talento, non dichiara che abbiamo un problema con la democrazia poiché vincono sempre i più telegenici invece dei più bravi. Erica Mou canta, sorride, perde e quando la interrogano sull’immagine femminile a Sanremo, invece di puntare il facile dito contro Belen, fulmina la Fornero e la pletora di lamentose e inerti coetanee vittimiste: “Al Festival ci sono tante brave artiste. Il ministro poteva televotarmi; spero che l’abbia fatto”.