venerdì 29 giugno 2012



Il diario intimo dell'Europeo
Sabato 23 giugno
h 20:45 Spagna-Francia a Parigi
Non so se fosse un annuncio su un quotidiano oppure un manifesto, fatto sta che – si sa come sono i francesi, sempre un sopracciglio inarcato sulle vicissitudini terrene – l’elenco delle possibili attività da svolgersi in serata a Parigi inizia con l’alternativa secca: “Questa sera potete scegliere fra assistere impotenti alla disfatta dell’équipe de France contro la Spagna, oppure”, e giù una lista lunga così di cose da fare, più o meno plausibili. Non l’ho visto coi miei occhi ma me l’ha riferito Peppe non appena è arrivato all’appuntamento in place de la Contrescarpe. Alcune necessarie precisazioni: Peppe, come i più intuitivi di voi avranno colto, non è francese e nemmeno spagnolo; l’appuntamento è di fronte a un locale che non posso nominare e l’abbiamo fissato lì non perché avessimo intenzione di andarci ma perché è talvolta frequentato da Emmanuelle Béart; senza preavviso alcuno, Emmanuelle Béart non si presenta; nella medesima place de la Contrescarpe, pieno quartiere latino, lo stesso Peppe aveva visto coi suoi occhi anni prima un bevitore di birra stiracchiarsi al tavolino, proferire “Ah! je pense donc je suis” e poi ruttare. Il tempo di ricordare tre di queste cose e la Spagna, nel lontano schermo di uno dei bistrot limitrofi, ha già segnato nel disinteresse generale dando libero accesso alla seconda multiforme alternativa presentata dal manifesto di cui sopra, che forse era un annuncio su un quotidiano. Optiamo per una lunga passeggiata che attraverso il Luxembourg ci conduce a Montparnasse dove possiamo scegliere fra una vasta gamma di creperie bretoni, fra le quali prevale Le Saint-Malo. Io sono contento perché a Saint-Malo è ambientato il racconto più divertente di Voltaire, che si intitola L’Ingenuo e narra di questo giovane transfuga urone che viene convertito al Cristianesimo in Bassa Bretagna e non che per davvero legge il Nuovo Testamento e finisce per voler farsi battezzare nelle acque di un fiume, per voler farsi circoncidere come San Pietro, per voler menare il suo confessore che non si lasciava confessare da lui nonostante che nell’epistola di San Giacomo (5, 16) sia scritto a chiare lettere: “Confessate i vostri peccati gli uni agli altri”. Mi trattengo dal farne partecipi gli avventori, non vorrei mai che mi giudicassero noioso e uomo di un solo argomento; tanto più che sono a Parigi in occasione di un convegno alla Sorbona che si è concluso, dopo due giorni di discussione sui gusti musicali di Voltaire, con la lettura di una lettera in cui il medesimo ammette: “Sono duro d’orecchie, sono un po’ sordo”.

Domenica 24 giugno
h 20:45 Inghilterra-Italia a Pavia
La giornata, niente male, si apre con un’abbondante colazione in Place de la Sorbonne, dove il cielo minaccia e la temperatura è scesa al punto che col maglioncino si avverte un po’ di fresco. Prosegue con un caffè al Charles De Gaulle, forse l’aeroporto dove il caffè (un caffè vero, italiano) costa di più al mondo: due euri e trenta liscio, due euri e quaranta macchiato benché col benefit di poter saccheggiare aggratis quotidiani sparsi, così che mi rifaccio prendendo per il viaggio Le Monde, L’Equipe e – a sfregio – Repubblica; l’unico caso al mondo, inoltre, in cui il caffè che abitualmente mi rende nervoso serva invece a rilassarmi perché dieci minuti prima, mentre mi aggiravo nell’edicola di là dai controlli di sicurezza alla ricerca di un’adeguata guida al Tour de France, senza particolare preavviso era fatto brillare un bagaglio incustodito e vi assicuro che sentire bum in aeroporto non è una condizione gradevole (forse è l’unico caso in cui si provi sollievo all’idea di viaggiare da soli; forse no). Dopo di che, in volo, dei peculiari biscotti all’anice e un bicchier d’acqua fresca griffato Air France; pranzo rimandato all’atterraggio, nel primissimo pomeriggio, con un panino simil-Autogrill al pretenzioso chiosco degli arrivi di Linate prima di prendere la navetta per Milano. Niente caffè in Stazione Centrale perché alla mia età è bene non esagerare con le emozioni: l’euro risparmiato finisce dritto nella tariffa del biglietto di prima classe sull’intercity per Pavia, otto anziché sette. A Pavia, sarà che ci sono venti gradi in più rispetto a Parigi, il mio corpo impazzisce, prende a sudare oltre ogni ragionevolezza e mi vedo costretto a tentare di blandirlo con un Cucciolone gelato. Nel frattempo mi ha chiamato Gionata che in serata si porta a Pavia un paio di altri vecchi compagni di liceo (chi di stanza in Lombardia, chi di fugace passaggio) nonché sua moglie. Prenoto in pizzeria e giunta l’ora, per non tediare le donne con la solita partita, ci sistemiamo così: loro di spalle allo schermo, noi di faccia. (Le donne, si sa, sono l’unica minoranza numericamente preponderante). La partita sarà lunga e sappiamo in anticipo che si andrà come minimo ai supplementari, ergo prendiamo tempo ordinando un antipasto di mare e uno di salumi, da spartire. Mi contengo, timoroso ancora per le mie menugia, e in luogo dell’universale birra media mi offro una Coca Cola. Poi arrivano le pizze, ma non basta: c’è tempo anche per i dessert oltre il novantesimo. Chi prende la torta fichi e noci, chi il profitterol; io, la foresta nera. Quindi è d’uopo l’ammazzacaffè, che visto il caldo è bene sia un limoncello. Dunque, ricapitolando la giornata gastronomica: colazione continentale, caffè, biscotti all’anice, panino, gelato, pesce, affettato, pizza, Coca Cola, torta, limoncello e alla fine, tanto per gradire, cucchiaio.