lunedì 19 novembre 2012

Finalmente domenica!
Tredicesima giornata, 18 novembre 2012

Quando mi chiedono un parere sulle traduzioni, devo sforzarmi di non riferire un vecchio episodio di Topolino in cui viene inventata una colossale macchina di interpretariato universale. Di fronte a curiosi scettici, viene inserito in questo calcolatore un biglietto con la scritta “Lo spirito è forte ma la carne è debole” e di lì a poco si vede emettere un altro biglietto con la stessa frase in ittita, in accadico, in caratteri cuneiformi. Al che viene richiesta la controprova, inserendo nuovamente il biglietto illeggibile, e la macchina a sua volta restituisce un biglietto in italiano con su scritto: “L’alcol brucia ma la bistecca è tenera”.

Ieri ero stato chiamato al Bookcity di Milano presentare la nuova traduzione dell’Ulisse di Joyce fatta da Enrico Terrinoni per la Newton Compton e, forse per darmi credibilità qualora mi fosse saltato in mente di ripescare la faccenda della bistecca, gli organizzatori mi hanno inserito nel programma come “giornalista” benché non lo sia affatto. Allora, non potendo presentarmi abilmente camuffato da giornalista, ho deciso di barare presentandomi abilmente camuffato da intellettuale di sinistra, indossando con grande disinvoltura un completo di velluto beige a coste sopra un dolcevita scuro. Mi ero anche trattenuto dal radermi, come invece l’istinto e l’abitudine mi avevano suggerito e quasi imposto. Per fortuna la mia bellezza non dipende mai da tali scelte contingenti.

Il travestimento era coerente con quello che avrei detto, ossia che l’ideologia sottostante la traduzione di Terrinoni era la restituzione dell’Ulisse alle masse, per conseguire la quale aveva dovuto agire in due direzioni: tradurlo con un linguaggio più corrente e meno aulico, senza mostrare timore di strapazzare un classico ma stando attento ad accattivare il lettore col ritmo; dissotterrare dalle successive sedimentazioni di interpretazioni più o meno arzigogolate la trama basilare del romanzo che, benché molto diluito, contiene un messaggio di amore fra individui e di pace fra i popoli. Per parlarne senza sentirmi ridicolo, vestito così, avevo architettato un discorso ricco di ironie e sottintesi e concetti appena abbozzati per lasciarli acerbi al ragionamento degli astanti e credevo di avere fatto un buon lavoro fino a che, stamattina, non ho scoperto che mentre parlavo un signore ha diligentemente pubblicato su twitter una cronaca minuto per minuto di cosa dicevo; ma poiché twitter ha un limite massimo di caratteri per botta, ecco che tutte le cautele e le perifrasi e gli ammicchi che costituivano l’impalcatura del mio discorso erano andati a farsi benedire.

Ciò non è colpa del signore in questione, di cui ammiro la dedizione, né mia né tampoco di Joyce, o del completo di velluto con dolcevita. È solo che ormai per essere credibili come intellettuali di sinistra non basta vestirsi da sinistra e dire cose di sinistra; bisogna esprimere concetti che siano già pronti per essere infiocchettati in centoquaranta caratteri senza perdere alcunché e senza risultare urticanti per nessuno. Bisogna, diciamo così, saper andare incontro alla scatoletta; come i calciatori di oggi, che sembrano più bravi dei vecchi solo perché i telecronisti urlano di più.

Meno male che nessuno era presente col superfonino fra le mani quando, passando da piazza Fontana col mio abito beige di lotta e di governo, ho notato che uno dei vasetti sotto la lapide all’anarchico Pinelli era stato rovesciato dal vento, o da un cane, o da un passante scemo. Allora, col favore delle tenebre, sono avanzato nell’aiuola, mi sono accovacciato e l’ho raddrizzato credendo di far culminare così la serata da vero uomo di sinistra, certo che l’abito facesse il monaco. Poi, sul treno suburbano per Pavia, mi sono accorto che mi ero ingannato e che aveva vinto l’imprinting di cattolico reazionario. Raddrizzare ciò che è storto è un atto da nevrotici di destra, tanto da essere finito in una supplica allo Spirito Santo: flecte quod est rigidum, fove quod est frigidum, rege quod est devium. La bistecca è tenera.

[Il resto della rubrica, opera di Francesco Savio, si trova come sempre su Quasi Rete.]