sabato 31 marzo 2012

La replica infantile del campionato del giorno prima era limitata alle azioni principali e piuttosto che sull’andamento della partita preferiva concentrarsi sul singolo gesto tecnico: lo pseudo-Vialli si sistemava spalle alla porta, lanciava la palla al cielo e sulla ricaduta tentava la rovesciata. Non ci riusciva e riprovava. Se ci riusciva riprovava lo stesso. Nel frattempo veniva travolto dallo pseudo-Weah che si era fatto allungare la palla da un passante e arrivava come l’uragano dal lato opposto del cortile. Per il portiere non faceva differenza, lui dichiarava di essere chissà chi ma al massimo gli riusciva Garella, e si gettava a corpo morto per respingere qualsiasi cosa gli tirassero: con le ginocchia, con le unghie, con la faccia e – quand’anche la palla impattasse il muro pieno – negava la rete dicendo che era palo.

Non sono solo i bambini che fingono di essere calciatori famosi; alle volte lo fanno anche i calciatori, magari già famosi di loro, che per superarsi fingono di essere altri calciatori ancora più famosi. Ricordo distintamente una sera in cui è accaduto che un portiere fosse tutti i portieri e lo racconto per il consueto anticipo di Quasi Rete: Inter-Genoa 3-1 ai supplementari, ottavi di finale della Coppa Italia 2009.

venerdì 30 marzo 2012

Nei giorni scorsi Franzen ha piazzato un nuovo attacco contro la moderna tecnologia. Non se l’è presa con uno strumento innovativo, che consente di fare diversamente una vecchia cosa, ma contro uno strumento-feticcio, che coincide con la cosa che consente di fare: dalle pagine della Repubblica a quelle del Corriere, è tutto un Franzen contro twitter. Ha detto che esprimere un parere in 140 caratteri è come scrivere un romanzo senza mai usare la lettera p. Ha detto che twitter è la versione scema di facebook, contravvenendo così a un assunto basilare del galateo da social network secondo il quale facebook è per ragazzini che desiderino diventare famosi pubblicando le proprie foto da sbronzi (o per mariti controvoglia che vogliano rivedere le compagne di scuola in bikini) mentre twitter è per sofisticati intellettuali incompresi che aspirino a far leggere i propri pensierini da Obama e da Fiorello.

Ha ragione? ha torto? è stato buono? è stato cattivo? Sul numero di Tempi in edicola questa settimana vi spiego tutto quello che avreste voluto sapere (ma non avete mai osato chiedervi) sulla querelle tra uno scrittore e milioni di scribacchini.

L'infinita generosità degli uomini di Corso Sempione fa sì che l'articolo sia sin d'ora disponibile online cliccando qui.

giovedì 29 marzo 2012

Il Barcellona mi fa schifo perché non gioca a calcio ma, specie quando va in trasferta, viaggia per il mondo a esportare un marchio, a dimostrare di essere il Barcellona, a suggerire implicitamente l'idea che il pubblico pagante abbia comprato il biglietto non per guardare una partita di calcio ma per assistere alla miracolosa apparizione degli epigoni pedatori degli Harlem Globetrotters. Per questo quando si presentano nell'area altrui tendono a cercare il passaggio in eccesso, il colpo di tacco disutile, lo schema arzigogolato: lo scopo del loro gioco non è fare goal, come avviene per chiunque giochi a calcio a ogni livello, ma dimostrare nei fatti di essere ciò che la stampa mondiale sostiene che siano a parole. Il loro sport, di conseguenza, non è il calcio ma il barcellonismo. All'esercizio del barcellonismo è collegata tutta la prosopopea del mès que un club, la surrettizia affermazione che il Barcellona a differenza delle altre squadre tutte e soprattutto del Real Madrid si trovi non un gradino sopra gli altri ma un passo oltre la linea di gesso che separa undici giocatori di calcio da qualcosa di più serio - che sia l'arte, la politica, il genio. Si chiama "modello Barcellona" e come tale non può essere comparabile a null'altro perché si pone per definizione come differente da tutto il resto: essere il Barcellona consiste nel non essere come tutti gli altri e non essere come tutti gli altri significa essere il Barcellona, donde per la proprietà transitiva l'unica caratteristica che renda Barcellona il Barcellona è che è il Barcellona. Tautologico ma perfetto per infessire milioni di utenti, potenziali clienti di un marchio. Il Barcellona non tira in porta: non ne ha bisogno, tiene il controllo del gioco con una miriade di passaggini e aspetta di vincere per manifesta superiorità.  Il Barcellona non perde mai palla: in caso di contrasto sfortunato, l'arbitro fischia punizione a favore perché non è possibile che il Barcellona perda palla senza avere subito una scorrettezza. Il Barcellona non commette mai fallo: anche quando accade, l'arbitro non interrompe il gioco perché il Barcellona, essendo il Barcellona, non può che comportarsi come si comporterebbe il Barcellona in circostanze simili. Tutto si tiene, più che un club è una self-fulfilling prophecy: Messi può permettersi di essere sempre corretto perché se dà un pestone all'avversario l'arbitro non lo ammonisce. Puyol può permettersi di sfoggiare la fascia coi colori della bandiera catalana - e tutti i suoi compagni di squadra possono nascondere una bandierina giallorossa sul colletto, dietro la nuca - perché l'indipendentismo del simbolo viene immediatamente annacquato e anzi reso romanticamente patriottico dal fatto stesso di essere esercitato da una squadra patriotticamente romantica come il Barcellona. Se invece il capitàno del Milan o dell'Inter, o foss'anche dell'Atalanta o del Fanfulla, si presentasse in campo con la bandiera della Padania stampata sulla fascia o in un rettangolino grande la metà rispetto a quello sul retro dei colletti blaugrana, seguirebbero interrogazioni parlamentari a iosa. Al Barcellona si consente tutto, si perdona tutto, più di ogni cosa lo si lascia veicolare l'idea assurda che la grande squadra sia quella che vince una partita segnando sette goal e non quella che vince sette partite segnando un goal per volta. Il Barcellona piace a chi non ama il calcio ma qualcosa che gli somiglia in bello, una sorta di reality show per persone perbene che non guardano i reality show. Il Barcellona è un ufficio stampa con qualche giocatore al seguito, che crede di essere superiore a tutti gli altri solo perché porta la scritta "Unicef" stampata sul culo.

lunedì 26 marzo 2012

Tutti ad applaudire Giorgio Napolitano, tutti a pendere dalle sue labbra mentre rivela di essere un uomo molto avanti negli anni (non ci aveva ancora pensato nessuno, pare) e di non avere l'intenzione minima di aspirare a un secondo mandato da presidente della repubblica, circostanza che se non s'è mai verificata in precedenza un motivo sicuramente ci sarà (ma non ci aveva ancora pensato nessuno, pare). Di più, Giorgio Napolitano s'è augurato, non si sa sulla scorta di quali ponderate considerazioni istituzionali, che il suo successore al Quirinale sia finalmente una donna. Non ci aveva ancora pensato nessuno, pare, ragion per cui s'è scatenato il putiferio: Rosy Bindi! No, Angela Finocchiaro! No, Livia Turco! No, Giovanna Melandri Debora Serracchiani Mara Carfagna Michela Vittoria Brambilla Nicole Minetti Alessandra Mussolini Ellekappa Cicciolina!

I corsivisti più arditi hanno voluto scovare nelle parole di Napolitano indicazioni concrete per scoprire cosa avverrà nel 2013; io sono più modesto e ne traggo due sole conseguenze generalissime. La prima è che se si ritiene che Giorgio Napolitano sia così bravo nel suo ruolo da rendersi insostituibile, o comunque da far postulare che un presidente della repubblica possa risultare tale, allora vuol dire che la carica avrebbe fatto meglio a essere vitalizia in quanto un bravissimo ex capo dello stato di cui non si fa altro che dire che fu ottimo costituisce una minaccia incombente su tutti i settennati successivi al suo.

La seconda è che le generazioni passano ma gli italiani continuano a pretendere dal loro presidente, costituzione nonostante, le caratteristiche salienti di un Re: prosecuzione indefinita del mandato e, in caso di abdicazione, indicazione diretta di un successore. Io non riesco a intuire cosa accadrà nel 2013 ma quest'istintiva persistenza radicatissima della più inveterata mentalità monarchica presso una vasta maggioranza dei miei compatrioti mi permette di sospettare cosa possa essere accaduto nel 1946.

sabato 24 marzo 2012

Devo fare onerosa ammenda su Repubblica, un noto quotidiano intitolato come un celebre dialogo di Platone sul quale ho fatto più volte facili umorismi. Con la medesima equanimità, bisogna ammettere che oggi Repubblica vale in pieno l'euro e venti, anzi l'euro e cinquanta che costa con l'inclusione dell'inserto patinato D per signora e di quello A&F per affaristi e finanzieri: a pagina 66, in basso a sinistra, le ultimissime righe delle brevi di sport riportano una notizia sufficiente a illuminare l'intera giornata: "Musica dal film Borat invece dell'inno kazako. E' successo in Kuwait a un torneo di tiro".

venerdì 23 marzo 2012

Altresì il giovane d'oggi è un energumeno sicuro che il calcio coincida con la televisione, che l'importanza di un match si misuri in base al novero delle telecamere, che una giocata sia spettacolare solo perché inquadrata bene, che un calciatore sia decisivo solo perché quando lui prende palla il telecronista strilla: "Incredibile!". Per punizione, così impara, lo sottoporrò al trattamento Ludovico: stecchini sotto le palpebre e visione coatta di uno spezzone in bianco e nero della Domenica Sportiva. L'immagine sulle prime non si distingue, gira su sé stessa, sembra che un'invisibile manovella la governi furiosamente, fino a che non si staglia un'ampia, ineffabile cravatta a fiorelloni: è del presentatore che saluta gli amici sportivi grattandosi la pelata mentre pronunzia "girone di ritorno", e poi seguitando a compiere insistiti gesti di invettiva con la medesima mano sinistra, rivolgendosi al pubblico rimasto a casa, scandendo ogni parola riguardo al Cagliari che vince per la quinta giornata consecutiva.


Su Quasi Rete l'anticipo di questa settimana è Lazio-Cagliari 0-2 del primo febbraio 1970.
Ho trovato illuminante il lungo colloquio del cardinale Carlo Maria Martini con Ignazio Marino, pubblicato su due pagine del Corriere della Sera di oggi, non tanto per la disinvolta apertura del Cardinale all'importanza dell'amicizia omosessuale - qualsiasi cosa significhi - ma perché finalmente, come ben di rado accade sui quotidiani, ho potuto leggere una parola chiara sulla fede di un autorevole ecclesiastico. "Personalmente ritengo", ha scritto il Cardinale, "che Dio ci ha creati uomo e donna". Pochi possono ignorare la capitale importanza di tale affermazione. Fonti certe mi comunicano che un'apposita commissione ecclesiastica è già al lavoro per la composizione del Simbolo del cardinal Martini, del quale posso fornirvi una congrua anticipazione. Il testo reciterà: "Penso che ci sia un solo Dio, progettatore per sommi capi del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e - qualora ve ne fossero - invisibili. Non escludo l'ipotesi di un solo Signore, nonché di vari altri, nato dal Padre prima di buona parte dei secoli, che sostiene di essere Dio da Dio, potrebbe risultare luce da luce e talvolta Dio vero, nell'accezione più generale del termine, da Dio vero, senza voler con questo trarre conclusioni affrettate; generato e creato a seconda delle circostanze, di una sostanza che da un certo punto di vista sembra coincidere con quella del Padre, reo di concorso esterno nella creazione di una significativa percentuale di cose. Per noi uomini, ma anche per le donne, i bambini, gli animali, i vegetali, i minerali, i marziani, i nomi, le cose e le città, e per la nostra salvezza, nonostante potrebbe darsi che non ce ne fosse immediato bisogno, diede l'impressione di discendere dal cielo, o comunque da un'altitudine superiore a quella alla quale ci troviamo, e con il controverso e mai scientificamente accertato contributo dello Spirito Santo ha fatto una roba di difficile interpretazione nel seno della Vergine, o quanto meno incensurata, Maria e si è fatto uomo, ma anche donna, bambino, animale, vegetale, minerale, marziano, nome, coso e città. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato? Morì, o è emigrato in un paradiso fiscale senza lasciare tracce della propria scomparsa? Fu sepolto o si tratta di un complotto dei templari? Corre voce che il terzo giorno sia risuscitato, con tutte le cautele del caso, secondo le Scritture, senza con ciò voler far torto al Corano, alle Upanishad, al Libro Tibetano dei Morti, ai Canti di Ossian e alle Pagine Gialle; fonti vicine al Vaticano lasciano intendere che sia salito al cielo e siederebbe alla destra del Padre se non temesse un eccesso di strumentalizzazioni politiche. Di nuovo, se si accetta il presupposto che sia effettivamente già venuto, verrà nella gloria, ma senza rinunciare alla sobrietà imposta dai tempi, per giudicare i vivi e i morti, no, per ammonire i vivi e i morti, no, per tirare le orecchie ai vivi e ai morti, no, per comprendere e giustificare i vivi e i morti, anzi, per esprimere i sensi della propria stima ai vivi e ai morti, tanto più che non è del tutto chiaro chi sia vivo e chi sia morto, trattandosi di etichette che non possono annullare le infinite sfaccettature del cuore umano. La sua presidenza non avrà fine fatta salva la naturale scadenza del mandato. Presumo che si possa postulare uno Spirito Santo, o anche solo Beato, anzi Stimabile, noto anche come Signore che dà la vita e altresì, ove necessario, la dolce morte; e procede dal Padre e dal Figlio, o solo dal Padre, o solo dal Figlio, anzi procede da solo, e il Padre e il Figlio procedono da lui mentre il Figlio procede dal Padre e il Padre procede dal Figlio in maniera tale da non scontentare nessuno e porre fine a un'inutile questione che da secoli tormenta l'unità dei cristiani, ma anche dei mussulmani, buddisti, induisti, scintoisti, interisti, precari e lgbt; con il Padre e il Figlio è tenuto in debita considerazione e menzionato sovente con termini anche elogiativi, e ha espresso delle opinioni personali - non immuni da smentita - per mezzo di portavoce e uffici stampa non pienamente allineati alle sue posizioni. Sono disposto a tollerare la Chiesa, una e molteplice, santa e dannata, cattolica e protestante, apostolica e rivoluzionaria. Consiglio ai più piccini  una salutare abluzione per il condono delle violazioni alla carta dei diritti dell'uomo e del cittadino. Aspetto, ma senza volermi illudere, la risurrezione dei morti o il ritorno degli zombi e alcune forme di vita nel mondo - termine invero eccessivo: diciamo nel quartiere - che potrebbe decidersi a venire, ma senza alcun impegno e con chiare clausole di rescissione". Nella sua nuova versione martiniana il Credo assumerà la più moderna denominazione di Ritengo.

giovedì 22 marzo 2012

Per Maurizio Ferraris la realtà è una ciabatta, che giace incontrovertibilmente sul pavimento sia che un uomo la veda e la raccolga, sia che un cane la afferri con le fauci sia che, scendendo via via nella scala della percezione, un verme ci strisci o dell'edera ci si arrampichi o un'altra ciabatta la incocci. La ciabatta è un fatto, non un'interpretazione; è ontologica anziché liquida come invece sembra essere un po' tutto da qualche tempo a questa parte. Si dirà che la ciabatta è fascista?


Sul Foglio in edicola oggi parlo del Manifesto del nuovo realismo di Maurizio Ferraris (appena uscito da Laterza) paragonando la sua ciabatta fascista alla pantofola conservatrice di Xavier de Maistre.
Io sto con Oliviero Diliberto, che come tutti hanno visto s'è fatto sventatamente fotografare di fianco a una signora sulla cui maglietta campeggiava la scritta "La Fornero al cimitero". Per tre motivi:

1. Diliberto, scusandosi, ha dichiarato di non essersi accorto della maglietta, cosa ampiamente plausibile. A ben guardare la signora indossa una giacchetta, che poteva aver coperto totalmente o parzialmente l'insensata scritta; Diliberto si trova di là da una transenna, per la photo opportunity s'è visibilmente sporto in avanti, e dal suo punto di osservazione il petto della signora è l'ultima cosa che si vede.

2. In Italia va diffondendosi un eccesso di prove iconografiche di psicologismi transitivi: prima di Diliberto fotografato di fianco alla fatale scritta, e che quindi vuole uccidere la Fornero, ci sono stati innumerevoli assessori fotografati insieme a mezzi cugini di camorristi, e che quindi sono camorristi essi stessi, veline fotografate insieme a calciatori, e che quindi ne sono state ingravidate, Bersani fotografati insieme a Di Pietri e Vendoli, e che quindi si sono incontrovertibilmente alleati. Ogni photo opportunity è diventata una photo inopportunity. A furia di ritenere che un'immagine fugace e decontestualizzata conti più di un ragionamento, stiamo regredendo all'età dei graffiti.

3. Diliberto è una brava e colta persona che ormai non conta più nulla. Se ieri non fosse stato fotografato insieme a questa burina cannibale nessuno si sarebbe ricordato che esiste, legittima eccezion fatta per i suoi studenti. La Fornero ha un bel dirsi disgustata dall'evenienza che un politico si lasci fotografare insieme a una militante pazza: si vede che da tecnica non ha contato quante foto a casaccio si lascino scattare i politici veri. La triste realtà è che il pericolo non è il povero innocente Diliberto ma la signora ingrassata, imbruttita, rancorosa e ottusa, perfetto simbolo di un dibattito sul lavoro delegato a parti in causa - la ministra del lavoro, la presidentessa di confindustria, la segretaria generale della cigl - incapaci di compromesso al punto da far insospettire perfino i più ingenui sostenitori delle quote rosa.

sabato 17 marzo 2012

Alla fin fine era prevedibile: dagli oggi e dagli domani, prima con la questione dell'appoggio a Hitler, poi con la questione della teologia della liberazione, poi con la questione dei lefebvriani, poi con la questione dello Ior e di Marcinkus, poi con la questione di Emanuela Orlandi, poi con la questione della morte misteriosa di Giovanni Paolo I, poi con la questione del gay pride nell'anno giubilare, poi con la questione della morte misteriosa di Giovanni Paolo II, poi con la questione dei parroci pederasti, poi con la questione del sacerdozio femminile, poi con la questione dei preti che vanno a marchette, poi con la questione dei goldoni, poi con la questione delle agevolazioni alla scuola privata, poi con la questione delle insubordinazioni del clero mitteleuropeo, poi con la questione delle insubordinazioni del clero nordeuropeo, poi con la questione dell'esenzione dall'Ici, poi con la questione dell'abbé Pierre, poi con la questione di Milingo, poi con la questione di Williamson, poi con la questione di don Verzè, poi con la questione di don Mazzi, poi con la questione di monsignor Betori, poi con la questione di Nanni Moretti, poi con la questione di Vatileaks, poi con la questione dei precari equilibri geopolitici in conclave, poi con la questione degli omosessuali che hanno diritto alla vita familiare, poi con la questione di Freccero che accusa Libero di essere lo scagnozzo dei cardinali pedofili, mentre tutti cianciano sulla questione delle eventuali o praticabili o auspicabili dimissioni del Papa, ecco che arriva un bel giorno e - patapìm -  si dimette l'arcivescovo di Canterbury, primate della chiesa anglicana. È proprio vero che non praevalebunt.

venerdì 16 marzo 2012

La poesia è come il baseball: non capisco il perché. Vedo questi tizi che s'infilano il berretto a visiera, lanciano la pallina, la colpiscono con la mazza, l'afferrano col guantone, vengono sostituiti da compagni di squadra o avversari senza batter ciglio, dopo di che a un certo punto iniziano a turbinare in giro per il diamante tuffandosi su dei cuscini sparsi a casaccio e il pubblico esulta o si dispera indipendentemente dall'evenienza che l'azione per cui si sta disperando fosse esattamente uguale in ogni dettaglio alla precedente azione per cui aveva esultato. Americani. Allo stesso modo vedo questi tizi che s'infilano il basco, magari fumano la pipa, scrivono una poesia, se la fanno pubblicare da riviste di cui s'ignora l'esistenza, tutti dicono che bella, allora ne scrivono un altra, pubblicano la raccolta, tutti dicono che bella, la raccolta vende un mare di copie, non contenti si presentano in pubblico e dicono ora leggo una mia poesia, la gente invece di ridere sta effettivamente zitta e ferma ad ascoltarli, questi fanno un discorsetto in cui non si capisce dove finisca un verso e dove ne inizi un altro, in realtà non si capisce nemmeno dove finisca la spiegazione preventiva della poesia e dove inizi la poesia vera e propria, a dirla tutta non si capisce neanche perché una poesia dovrebbe avere bisogno di una spiegazione e tanto meno preventiva, poi loro si zittiscono e tutti dicono che bella, allora sul breve termine ne approfittano per leggerne subito un'altra e sul lungo termine hanno già pronta la nuova raccolta, se non che all'improvviso tutti dicono che brutta, anche se dentro c'erano le poesie che abbiamo già sentito leggere ad alta voce e che sono indistinguibili da tutte le altre che abbiamo poi potuto leggere in silenzio, la raccolta non vende un accidente, il pubblico resta freddo, allora si decide che lo sfavore del volubile pubblico significa che il poeta è diventato un classico e quindi gli pubblicano subito il volumone monumentale senza aspettare che muoia né che Saviano vada a leggerlo su Telemontecarlo facendo nuovamente impennare le vendite, e mai nessuno che chieda (anch'io sono timido): ma queste stesse cose qui non potevi scriverle senza andare tanto spesso a capo, così il libro veniva più corto e costava anche meno?
Bisogna decidersi. Se l'interesse principale è fare bella figura in società, ci si può tranquillamente accomodare nei recessi più inconsulti di una qualsiasi città, guardare dei bambini scalzi che scalciano un pallone di stracci cercando di infilarlo in porte delimitate a mo' di pali da oblunghi residuati bellici, e commuoversi ritenendo che l'essenza ideal eterna del calcio sia nascosta lì, negli stracci avvoltolati. Lo si scriverà in verso libero, incapace di metrica, e si venderanno molte copie. Se altrimenti l'interesse è che la bellezza sia verità e la verità bellezza, meglio guardare più da vicino.


Per descrivere il calcio meglio la poesia o la prosa? Meglio il centro o la periferia? Tutte le risposte nell'anticipo di questa settimana su Quasi Rete: Fiorentina-Juventus 2-1 del 15 gennaio 1989.

mercoledì 14 marzo 2012

E dunque ieri, durante questa famosa intervista sul libro multicolore che vedete qui di fianco (in alto a sinistra),  rilasciata a una rete Mediaset su un campo storico della periferia di Milano, alla domanda su quale fosse la mia parola chiave per interpretare letterariamente il calcio ho risposto "predicato verbale", ripetendo come al solito l'altrettanto famoso discorso sulla progressiva sparizione di elementi sintattici fondamentali dai titoli dei giornali, dalle cronache delle partite e presto, ne sono sicuro, anche dagli articoli di commento approfondito. Il tentativo di accorciare progressivamente la distanza fra scrittore e lettore, cercando di non affaticare troppo né il primo né il secondo, sta facendo regredire il discorso sportivo a urlo prearticolato; è un problema mica da ridere, in quanto lo sport è azione e da quando hanno inventato la grammatica per descrivere un'azione è necessario utilizzare i predicati verbali. Bene, una volta chiarito questo, chissà se stamattina la Gazzetta ha titolato: "Inter fuori dai coglioni".

martedì 13 marzo 2012

Scusate l'egocentrismo, ma stasera devo andare a Milano a farmi intervistare da una rete del digitale terrestre Mediaset; quindi è d'uopo per me e per voi prepararsi spiritualmente ripassando la pessima fine della delirante intervista che avevo rilasciato un paio d'anni fa all'ottima Francesca Altomonte per Rai2.

Inoltre, un articolo dell'ottima Paola Peduzzi sul Foglio di oggi rivela che da aprile David Cameron dovrà fare a meno del suo spin doctor Steve Hilton, che se ne andrà in anno sabbatico con le sue infradito: per capire chi è e chi non è, e come può cambiare la politica inglese in base alla sua ubicazione, può essere utile rileggere il ritratto di Steve Hilton che avevo scritto per il Foglio nell'estate 2010.

lunedì 12 marzo 2012

Tanto per cominciare ieri mattina mi sono svegliato alle otto, con la luce del sole che traspariva fra gli infissi, e mi sono concesso un'abbondante colazione con merendina, yogurt, pane e nutella e due - dicasi due - cappuccini. Poi sono andato alla Messa in Latino di San Giovanni Domnarum dove, attenzione, non si segue la traduzione retroattiva del messale di Paolo VI (quello postconciliare) ma proprio l'originale di Pio V (quello controriformista e tridentino), completo di celebrante di spalle, Attende Domine all'introibo, cornu epistolae e cornu evangelii. Poi ho letto la Gazzetta dello Sport, il Corriere della Sera, la Lettura del Corriere della Sera, la Domenica del Sole 24 Ore e addirittura una nota testata che si chiama come un noto dialogo di Platone. Poi mi sono messo vicino alla finestra aperta e mi sono dedicato al corposo Mademoiselle O di Adam Thirlwell, con una breve interruzione per l'Angelus alla radio. Quindi mi è stato servito il pranzo: tortellini, stinco, mela rossa e quadratone di cioccolata fondente. Ho ascoltato la fine di Bari-Reggina, con goal vittorioso in extremis, e poi sono uscito a prendere un caffè in piazza Vittoria con Plinio il Vecchio, il cui significativo soprannome mi è di perenne monito in quanto io sono nato il giorno prima. Visto che doveva provare il grandangolo o non ho ben capito cosa della nuova macchina fotografica, l'ho accompagnato attraverso i vicoli più soleggiati di Pavia fino alla chiesa di San Teodoro, dove i soggetti da immortalare abbondano: l'abside che impone una curva alla strada per arrivarci, un affresco con Sant'Antonio Abate, completo di cinghiale, che benedice (di spalle però) la pianta topografica di Pavia in quello che a occhio sembra il XV secolo in quanto non c'è ancora l'antico palazzo dove vivo, una serie di tre pecore dal viso semita, il fumetto in stile Signor Bonaventura della celebre battaglia franco-spagnola del 1525 e così via. Fuori da San Teodoro si possono fotografare i telamoni di casa Sfondrini, un maschietto e una femminuccia che nonostante l'erosione dei secoli chiaramente si masturbano di fronte alla facciata della chiesa presumibilmente in segno di spregio, o forse di stima, chi può dirlo. Poi sono andato a teatro per guardare Emilio Solfrizzi e Lunetta Savino che proponevano tre atti unici del 1970 di Michael Frayn. Nonostante che fossi costretto a presentarmi in cappotto, giacca e cravatta in quanto sedevo in platea fra le più incartapecorite sciure dell'alta borghesia pavese, e nonostante che la signora di fianco a me non abbia mosso muscolo (forse deceduta) per tutto il corso della commedia, e nonostante che secondo autorevoli pareri l'allestimento fosse datato, ritrito, prevedibile, sciatto, fuori sincrono rispetto alle vigorose esigenze delle angosce contemporanee, nonostante tutto questo ho riso per due ore tanto che alla fine volevo saltare sul palco per abbracciarmi e baciarmi sia la Savino sia Solfrizzi, che avevo visto per la prima volta a teatro in terza media, quando ancora entrambi parlavamo soprattutto in dialetto. Poi ho preso un aperitivo con la signorina più bionda che conosca, e qui mia madre farà delle illazioni sul fatto che sto ripopolando il mondo a colpi di figli illegittimi; ma d'altronde, se avessi omesso la riga in questione, avrebbe fatto illazioni sul fatto che forse forse sto diventando ricchione. Poi mi hanno servito la cena: ancora tortellini (erano avanzati ma erano anche buoni), carpaccio, mela verde e ampia scelta di dessert fra crostata ai mirtilli, cannoncini alla crema e torta al cioccolato. Ho preso tutto. Poi sono tornato in camera a guardare un film, una commedia stupidina ma che poteva venire peggio su due coinquilini, maschietto e femminuccia come i telamoni di casa Sfondrini, che decidono di girare un film a luce rossa per pagare un cospicuo novero di bollette arretrate, con tutte le disavventure che ne conseguono, innamoramento compreso. Poi mi sono infilato a letto guardando la Domenica Sportiva, ossia venendo guardato dallo sguardo sbarrato e fisso in camera di Paola Ferrari, finché non mi sono addormentato verso la mezzanotte lasciandomi cullare dagli autorevoli commenti di Fulvio Collovati a Lazio-Bologna 1-3. Tutto questo per dire che, non so i miei coetanei, ma se un giorno io me ne esco con un arrabbiatissimo romanzo di protesta generazionale, in cui vi chiedo di compatirci perché non abbiamo soldi, e non abbiamo lavoro, e non abbiamo famiglia, e non abbiamo speranze, e la vita è brutta, e il mondo è cattivo, e le persone sono deformi, sappiate sin d'ora che vi sto vendendo una fregatura.

sabato 10 marzo 2012

Pietro Citati sul Corriere di ieri sostiene che i lettori d'Italia peggiorino perché si legge poco, tanto meno i classici, e che si legga poco e male perché i libri costano troppo. La classifica dei più venduti (fonte Tuttolibri del 3 marzo) mostra però fra i primi posti il solito Ruiz Zafon a 21 euro, "La dieta Dukan illustrata" a 19 e 90, "La voce invisibile del vento" a 17 e 60; non c'è traccia di Stendhal o Dickens o Tolstoj che pure sono bravini e si possono acquistare a 6 o 7 euro. Peggio ancora: il più venduto in assoluto costa sì 10 euro ma è "Amore, zucchero e cannella", non già l'"Ulisse" di Joyce che lo stesso editore vende a 9 e 90.


Sul Foglio in edicola oggi intervengo nella polemica fra Citati e Giorgio Faletti dimostrando more geometrico che in Italia si leggerebbe poco anche se i libri costassero un euro.

venerdì 9 marzo 2012

Chi è mai Stefano Casale? Perché è importante il Proleter Zrenjanin? Qual è la cosa ineffabile, e come rispondere a un turista che chieda informazioni in Latino? Che fine ha fatto il vau e perché costringere il beta agli straordinari? Ma i greci capiscono il Greco? La risposta a questi e ben altri misteriosi interrogativi è custodita nell'anticipo di questa settimana su Quasi Rete: Milan-Lecce 1-2 del 19 ottobre 1997.

giovedì 8 marzo 2012

A voler scendere in vacui personalismi, trovo piuttosto inutile l'esistenza della festa della donna: a che serve generalizzare e democratizzare quando abbiamo già nel corso dell'anno varie feste della Madonna che una maggioranza sempre più vasta tende a confondere o a disattendere? E, a voler essere del tutto sinceri, trovo abbastanza ridondante anche la figura del presidente della repubblica: indipendentemente dall'individuo che ricopre la carica (dallo zenit di Cossiga al nadir di Scalfaro), mi sembra un incarico consolatorio per la falsa buona coscienza della nazione, un tizio relegato a un ruolo pittoresco - del tipo: "Ero capopartito, ora sono l'incarnazione dello Stato, un domani sarò senatore ai giardinetti" - senza però poter fare nulla di pittoresco e venendo limitato alla ripetizione coatta di un copione stantio, con le sole armi del severo monito, del profondo rincrescimento e della viva e vibrante preoccupazione. Ciò nondimeno stamattina alle sette o sette e cinque ho accolto con entusiasmo la notizia che, in occasione della festa della donna, il presidente della repubblica concluderà i lavori del convegno "Lavoro e famiglia, conciliare si può". Io, se fossi in lui, approfitterei per concluderli così: "Cari italiani, la maniera migliore per conciliare lavoro e famiglia sarebbe stata di non organizzare questo convegno e distribuire i soldi così risparmiati a qualche donna meritevole, acciocché lavori di meno e trascorra più tempo con marito e figli. Arrivederci". Se accade, ecco che all'improvviso festa della donna e presidente della repubblica diventano utili a qualcosa; se non accade, sapete di già come la penso.

martedì 6 marzo 2012

Questo in realtà è il recupero dell'anticipo, visto che avrei dovuto scriverlo fra venerdì e sabato mentre per causa di forza maggiore è rotolato fino a oggi come un pallone sempre più sgonfio, e così ora ve lo trovate tra i piedi. In realtà avrei potuto soprassedere, fingere di essermene dimenticato così come ve ne eravate dimenticati voi, ma poi ho considerato che se onora la rigida scadenza settimanale Francesco Savio che ha un figlio piccolo piccolo, a maggior ragione dovrei onorarla io che al massimo ho qualche fidanzata di troppo.


Battendo ogni record di ritardo, su Quasi Rete parlo di un Parma-Napoli del 1990.
Va bene: beati noi quando ci insulteranno, ci perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di noi. Io però non so se sia peggio la gentaglia che, mentre in San Petronio veniva benedetta la salma di Lucio Dalla, osava sostenere istericamente che la Chiesa - non la Chiesa vera ma questo fantomatico ufficio di sadici col quale identificano le loro ossessioni paure e rimorsi - si stesse prendendo l'agognata vendetta, non si capisce bene come, su un cantante che per forza di cose doveva essere una bandiera dell'orgoglio omosessuale o un propagandista antiriproduttivo perché trentatré anni fa aveva infilato in una canzone il verso "E si farà l'amore ognuno come gli va"; o se siano peggio le brave persone, nemmeno consapevoli di accanirsi contro la verità, che leggendo il notiziario in tv o alla radio automaticamente contrappongono "l'ex governatore del Massachussets Mitt Romney" a "l'ultraconservatore Rick Santorum". Ora, ai primi bisognerebbe spiegare che gli attivisti omosessuali sono spregevoli in quanto attivisti, non in quanto omosessuali, e che se Dalla non faceva pubblicità alla propria vita privata non era per timore che gli negassero i funerali in San Petronio né che un cardinale irrompesse nottetempo in casa sua mitragliando all'impazzata, ma perché più della media degli italiani riteneva che faccende del genere andassero risolte fra sé, il confessore e Dio, senza cercare futili giustificazioni patetico-costituzionali al proprio comportamento individuale. E ai secondi bisognerebbe spiegare che questo Romney è mormone, e come tale convinto che nel 1830 un angelo abbia seppellito un libro laminato d'argento nel garage di un ragazzino allo scopo di proibire l'alcol, la caffeina, i film zozzi e le barzellette (già tanto che si possa fare pipì): tutte cose che Santorum, in quanto cattolico, può agevolmente permettersi e che non ha intenzione di proibire a nessuno. Se non che l'idea che un politico dichiari esplicitamente di essere davvero cattolico ci porta pavlovianamente a definirlo ultraconservatore anche quando lo si paragona a uno che patrocina i battesimi postumi degli avi, plausibilmente morti dalle risate leggendo il libro di Mormon. E a me bisognerebbe spiegare che in un testo leggermente più affidabile c'è scritto chiaro e tondo beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi, ragion per cui devo sforzarmi di resistere e, anche se è difficile, tenermi i ceffoni nelle mani.

lunedì 5 marzo 2012

Fino a che giorno lavoriamo, nel corso dell'anno, per pagare le esosissime assurde aliquote fiscali imposte da uno Stato che in cambio dà pochino? Fino al 30 giugno, fino al 28 luglio, fino al 16 agosto, fino a metà novembre? Se cumuliamo le tasse nazionali, regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali, condominiali, arriviamo al 43, al 56, al 69%? Non voglio saperlo, lascio fare al commercialista e resto nella muta consapevolezza che lo Stato sottragga a me come a voi metà del sudore, della ricchezza e della vita. In compenso noialtri italiani votiamo tantissimo: e le politiche e le regionali e le provinciali e le comunali e le circoscrizionali e le condominiali e le primarie del Pd e il congresso del Pdl e la raccolta di firme e i referendum a casaccio e chi più ne ha più ne metta, in un trionfale profluvio di democrazia in cui il voto del sagace analista politico vale esattamente quanto quello del quidam che vota l'amico del datore di lavoro del cognato perché spera in un favore sottobanco per il figlio o per lo zio. Lots of taxation, lots of representation: possiamo votare chi ci pare, decine e decine di partiti partitelli partitini, e siamo chiamati a farlo mediamente una volta all'anno, purché paghiamo paghiamo paghiamo e accettiamo che qualsiasi cosa accada a ogni cambio di governo paghiamo un po' di più. Ora, non per dire, ma in Russia si saprà pure con largo anticipo chi vincerà le elezioni, e sicuramente ci saranno meno giornalisti che possono permettersi di andare in tv a dire tutto ciò che pensano senza contraddittorio alcuno, e magari le gioiose manifestazioni in piazza coi drappi viola e i palloncini gialli e le bandiere della pace e i black bloc e i no tav è meglio evitare di farle perché lì i poliziotti sono meno pecorelle e più lupi mannari; però corre voce che in questa benedetta Russia abbiano l'aliquota unica al 13%.

venerdì 2 marzo 2012

Ma che religione professano i detrattori di Gigi Buffon? Basilari elementi storici dovrebbero insegnare loro che il calcio è uno sport cattolico, come dimostra l'albo d'oro dei Mondiali: Italia, Francia, Spagna, Argentina, Brasile, Uruguay, tutte nazioni a maggioranza papista; perfino la Germania plurivittoriosa è la più cattolica fra le lande riformate.


Sul Foglio in edicola oggi difendo in un colpo solo Gigi Buffon e la vera religione.