sabato 26 ottobre 2013

Ieri sera sono andato a vedere La Scena di Cristina Comencini al Fraschini e l'unico motivo per cui non me ne sono andato alla fine del primo atto è che era un atto unico. Angela Finocchiaro e Maria Amelia Monti recitano anche bene ma la commedia è costruita su dialoghi meccanicamente prevedibili e su un malcelato intento didattico per il quale non mancano battutine infingarde su corteggiatori già denunziati per stalking o sugli uomini che hanno paura del corpo delle donne e quindi lo velano (burqa) o lo fanno fuori (femminicidio). Si potrebbe pensare che un simile intento rieducativo sia sufficiente a rovinare una pièce ma mi sono ricordato di avere visto pochi mesi fa una commedia di Walter Fontana, sempre con la Finocchiaro, in cui era comunque possibile leggere una critica alla scuola, alla famiglia, alla società contemporanee: però la commedia di Fontana faceva ridere e quella della Comencini faceva piangere. La differenza dunque non è tanto nell'intento quanto nella capacità o meno di scrivere per il teatro. Il finale poi, con le due donne che lasciano intendere di poter essere due metà della stessa persona, o l'una un'attrice che recita la parte dell'altra e viceversa, è pretenzioso e conferma la cacarella che assale gli autori italiani quando si tratta di scrivere una storia semplice, che significhi esattamente quello che si vede in scena o quello che si legge sulla pagina. Quando Michael Frayn ha scritto Rumori fuori scena non voleva mostrarci la condizione umana, voleva farci ridere e ci è riuscito; la Comencini non è stata in grado di scrivere una commedia degli equivoci senza impelagarsi nel discorso metaforico rifritto sulla complessità dell'animo femminile. L'effetto è avvilente e volgare. Infine, poiché la volgarità sta soprattutto nei dettagli, né all'inizio né alla fine dello spettacolo la Finocchiaro o la Monti hanno invitato il pubblico a rivolgere un ultimo applauso a Zuzzurro o a Piero Mazzarella, come invece è d'uso sui palcoscenici quando un attore muore: e dire che erano strettamente colleghi, essendo tutti e quattro comici lombardi.