martedì 4 febbraio 2014

Ci sono due opzioni riguardo alle accuse che Dylan Farrow ha mosso a Woody Allen: o sono vere, o sono false. Se sono false, bisogna chiedersi per quale fra i tre motivi possibili. Potrebbe darsi che la memoria, tornando improvvisamente a ventun anni di distanza dai fatti, ne abbia alterato la percezione. Potrebbe darsi anche che, come spesso accade con i ricordi d'infanzia, i dettagli siano offuscati e che alla fin fine la soffitta non fosse una soffitta, le molestie non fossero molestie e Woody Allen non fosse Woody Allen. Potrebbe infine darsi che si tratti di un ricordo indotto dall'imprevista e scioccante notizia che il fratello minore Ronan Farrow fosse in realtà figlio di Frank Sinatra. In quest'ultimo caso ci sarebbe da indagare non solo sulla correlazione fra le rivelazioni ma anche sul perfetto tempismo dell'escalation a ridosso del Golden Globe alla carriera.

C'è altresì l'opzione che le accuse di Dylan Farrow siano vere, e qui la questione si fa moralmente più spinosa. Anzitutto bisogna capire se si è trattato di un evento occasionale o reiterato o abituale. Nel primo caso bisogna considerare che tutti noi stiamo sempre per fare qualcosa di orribile e che qualcuno di tanto in tanto ci casca per una volta; anche se ne resta l'impronta indelebile, c'è sempre tempo per ravvedersi e riparare, mentre a rinfacciare con pervicacia una cosa avvenuta ventuno anni prima si fa la figura di Casalino del Movimento 5 Stelle che chiede a Daria Bignardi come ci si senta a essere la nuora di un assassino. Nel secondo caso, bisogna stabilire i confini della reiterazione e comprendere quali fossero le circostanze che l'hanno causata, venute meno le quali è venuto meno anche l'atto, e iniziare a indagare da lì. Nel terzo caso, infine, preso atto che la molestia sui bambini è un'abitudine indipendente dalle circostanze contingenti, bisogna chiedersi fino a che punto si è disposti a tollerarla e in cambio di cosa. Non è così peregrino: oggi a pochi salterebbe in mente di dire che avremmo preferito non avere le canzoni di Michael Jackson in cambio dell'innocenza di bambini che alla fine ci sono rimasti ignoti e distanti; e nessuno rinuncerebbe ad Alice nel paese delle meraviglie per sottrarre bambini ormai morti all'occhio lubrico di Lewis Carroll. Il tempo è il miglior lenitivo dei casi di cronaca. Da un versante strettamente teorico la questione è dunque: se l'arte è creazione di felicità duratura su vasta scala, fino a che punto è accettabile che per produrla si metta in conto una infelicità contingente limitata?

Per questo la cosa peggiore accaduta a Woody Allen fra ieri e oggi è stata la corsa a rintracciare nei suoi vecchi film battute che potessero essere interpretate come ammissioni di colpa. Si tratta di un metodo fragile, non solo perché reinterpreta come cripto-pedofile situazioni normalissime di rapporto fra uomo maturo e giovinetta maggiorenne consenziente, ma soprattutto perché fa coincidere in tutto e per tutto l'identità dell'autore con ciò che scrive, dimenticando che ogni uomo è per definizione complesso e che ridurre questa complessità significa imbastire un processo sommario indegno e vigliacco. Significa inoltre ridurre l'opera d'arte a vassalla della vita di chi la produce. Non lo è mai.