sabato 14 giugno 2014

Maracanazo
da Pavia, Spagna-Olanda

Sul Corriere della Sera di oggi Antonella Baccaro scrive - nella rubrica dedicata ai single che leggo sempre con attenzione per sapere cosa le donne pensano che io pensi - che noialtri della paludosa età di mezzo bisognerebbe presentarsi dichiarando la propria età percepita. Tanto per fare un esempio: "Piacere, sono Alberto, 18", "E io Martina, 44". In questo modo si capisce a priori se c'è compatibilità di vita più che di sentimenti e si evitano conclusioni tragiche in cui magari lui la lascia perché non si mette i bigodini o lei lo lascia perché non le permette di usare il pongo. Idem coi Mondiali. Tutte le squadre partecipanti hanno un'età immaginaria e, fino alla prima partita del girone, si presentano sicure di essere ancora ferme a un'edizione precedente; il risveglio può risultare più o meno doloroso. Ieri sera i capitani di Spagna e Olanda si sono presentati a centrocampo dichiarando rispettivamente: "Piacere, Casillas, 2010", "E io Van Persie, 1974". La Spagna era rimasta incastrata nella finale del 2010, con le lancette ferme alla serata di Johannesburg che fu faccenda fra cattolici e ugonotti, convinta di una superiorità ormai cristallizzata ed espletabile nel compitino favorito dal rigore inaugurale. L'Olanda invece si era presentata sotto mentite spoglie. Finta erede del calcio totale del 1974, nasconde fra le pieghe dei propri schemi intenzioni bellicose rese note soltanto alle viste più aguzze nel momento in cui King Kong De Jong, presto a lanciarsi su un'innocua palla a centrocampo, preferisce a metà del balzo negligere il pallone e dirottarsi verso destra sull'accorrente mediano spagnolo, travolgendolo senza fargli gran male ma ricordandogli che quando si gioca sul serio la sfera di cuoio è un inutile orpello. Lì la Spagna inizia a sospettare che non dell'Olanda del '74 si tratti, non di una squadra tutta costruita su una fitta rete di passaggi in velocità e corsa arrembante ma alla lunga soccombente; bensì di una compagine sbrigativa, che va per le spicce senza badare alle decorazioni. Il tiki-taka è tradito dalla presenza in avanti di Diego Costa, un brasiliano riuscito male, naturalizzato nonostante che la sua stazza a mo' di terminale delle azioni veneziane dei centrocampisti spagnoli faccia la stessa figura di una candidatura di Cicciolina nelle fila della Democrazia Cristiana; la Spagna si perde dunque nello sforzo di riprodurre la partita di quattro anni prima e cade vittima dei propri stessi innumerevoli tentativi d'imitazione. Mentre gli iberici naufragano nel passato nobiliare, l'Olanda è qui e ora; ha la sola priorità di buttarla dentro e contro ogni legge dell'estetica proprio questa foga concreta garantisce gli sprazzi di bellezza. Se De Vrij segna accartocciandosi su un calcio d'angolo, se Robben se ne fotte di farsi deviare un tiro purché entri dopo essersi prodotto nello stop più disinvolto della settimana, Robin Van Persie nel primo tempo vede giungere questo profondissimo lancio un po' incosciente di Daley Blind (che io, abbandonandomi al passatismo, tendo sempre a confondere con suo padre Danny: piacere, Antonio, 49) e deduce che c'è un solo punto di tutto il campo in cui deve incocciare la palla per segnare. Allora vola: ma la sua priorità non è il volo d'angelo né l'obiettivo dei fotografi che eterneranno quest'istante di calcio antigravitazionale bensì essere esattamente lì nel momento che non è né il passato degli antichi maestri né il futuro delle speranze ardite. Il colpo di testa di Van Persie è l'urgenza del presente mentre il povero Iker Casillas si trova nell'unico punto dell'area di rigore a confronto del quale il paradosso di Zenone è una bagatella: troppo fuori dai pali ma non abbastanza. La palla è in fondo alla rete, l'olandese corre a esultare, lo spagnolo resta coi guanti sui fianchi a interpretare il ruolo del portiere depresso, del nobile decaduto, del duro d'orecchi timoroso che Van Persie si fosse presentato dicendo non "1974" ma "2014".

[Ogni giorno su Quasi Rete, blog letterario della Gazzetta dello Sport, c'è Maracanazo: i mondiali raccontati a targhe alterne da me e da Francesco Savio.]