mercoledì 26 novembre 2014

Ho letto e riletto più volte l'editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio rosa di lunedì scorso, trovandolo amaro ben oltre l'intenzione di stigmatizzare il diritto ad abortire rivendicato in copertina da Internazionale, settimanale di gran tendenza aduso a darsi ragione da sé. L'aborto è solo l'aspetto più cruento di una posta in gioco più alta che coinvolge tutto quello che abbiamo – noi che in senso lato possiamo dichiararci militanti di una minoranza conservatrice – detto e fatto in questi ultimi dieci anni. Gli eventi ci hanno scalzato al punto che adesso il mantenimento di una posizione benché coerente non allineata al pensiero unico abortista, femminista, omosessualista, giustizialista, animalista, terzomondista, pacifista, accoglientista e sincretista ci interdice non solo il patentino di credibilità in un contesto intellettuale che ha smesso di ragionare da tempo perché troppo occupato ad autoalimentarsi creando sempre nuove mozioni d’impegno à la page alle quali tutti devono accostumarsi, foss’anche a costo di abdicare alla realtà dei fatti; ma ci pregiudica altresì il normale espletamento delle funzioni sociali, umane. Oramai sostenere idee minoritarie benché assennate implica quest’alternativa: o venire presi per provocatori prima e scemi poi, se non istigatori al crimine, dagli abituali consessi all’interno dei quali si vede progressivamente svanire la concreta speranza di essere ascoltati e compresi, se non amati; oppure rinchiuderci in club diametralmente opposti e stagni, e da cattolico italiano so bene quanto i cattolici italiani riescano a essere noiosi e ottusi e ripetitivi oltre che codini quando non ipocriti e tiepidi.

Ho vissuto anni in Inghilterra vedendo erodere ogni settimana un po’ della libertà di dire ciò che si pensa, di puntare il dito contro il re nudo, di non negare l’evidenza più lampante. Per timore di offendere qualsiasi tipo di minoranza gli inglesi hanno sortito l’effetto di creare una nuova minoranza ammutolita e perseguitata, composta da tutti coloro i quali non fanno parte di nessuna di queste minoranze intersecate e sovrapposte che si sono trasformate in vacche sacre e scodinzolano dispoticamente. Sono tornato a vivere in Italia e qui assisto all’identica differita, patrocinata da lenzuolate stucchevoli e dementi campagne di hashtag, giornate contro e giornate a favore di incommensurabili cazzate, acquiescenza all’idea che se un uomo uccide una donna compie un atto diverso e più grave rispetto alla donna che uccida un uomo; all’idea che si sia all’improvviso maturato il diritto di sposarsi a piacimento e di ottenere tutto ciò che si desidera; che abbia ragione una Boldrini per la quale le donne sono talmente uguali all’uomo da essergli superiori e non un Erdogan per il quale è sconsigliabile mettere nelle mani di una donna la stessa zappa dell’uomo e imporle di zappare egualitaristicamente; che la nostra civiltà e l’altrui sono consimili e interscambiabili, con le decapitazioni quale pittoresco incidente di percorso; che gli invasori siano migranti e quindi una risorsa, come lo furono i barbari per rinnovare l’Impero Romano; che un figlio sia un fastidio sulla strada della luminosa carriera della madre e della sua libertà di spendere denaro per fini più nobili; che Dio non esista perché non tutto va per il verso che vorremmo; che la fede sia una prospettiva privata, un occhiale colorato per vedere il mondo rosé; e infinite altre scempiaggini che si tengono l’un l’altra per mano come le fisarmoniche di giornali ritagliati a forma di omino, e che chissà quante altre se ne porteranno appresso in anni futuri e prossimi che non sono sicuro di voler vedere.

Non certo da militante. Per dieci anni abbiamo suonato il flauto per persone che non hanno ballato, abbiamo cantato un lamento per persone che non hanno pianto e che adesso si sono accodate alla dittatura del pensiero unico costituendo una massa critica di maggioranza bovina e insormontabile, almeno per le nostre forze residue. Nel Vangelo c’è scritto chiaro e tondo che non praevalebunt e quindi possiamo nutrire la ragionevole certezza che i secoli spazzeranno via queste cianfrusaglie con la stessa vigoria riservata a tutte le ideologie che le hanno precedute; ma è piuttosto evidente che non saremo noi. Coltiveremo il nostro giardino, anzi, vivremo asserragliati la vita nei boschi, ognuno per conto proprio aspettando che la peste si propaghi fino alla nostra soglia, cercando di mangiare bene, leggere qualche classico, oziare col caffè compulsivo e l’occasionale sigaretta. In camera ho un whisky canadese che scende con facilità insidiosa; arrendiamoci, sarà un successo.