martedì 30 giugno 2015

Guareschiade, parte quarta.

Mi sono ricordato che un giorno Abraham Yehoshua, a Pavia, sentendo inerpicarsi un po' troppo su temi carsici del suo nuovo romanzo e su implicite correlazioni con cultura e storia ebraica un presentatore indubbiamente arguto e colto, oltre che accademicamente versato nella filologia semitica, lo aveva interrotto esclamando: "Too much doctorate! Too much doctorate!". Per leggere bene un romanzo e per capirlo meglio conviene non avere esagerato con lo studio e non avere fatto "troppo dottorato". Io da questo versante sono ahimè a uno stato irrimediabile se non con un lungo esercizio di analfabetismo e vita reale, ma a dipanarmi da troppi libri di filosofia e dalla laurea e dalla specializzazione e dal dottorato e dalla fellowship giunge per mia fortuna l'ammonimento che Guareschi formula in un racconto del 1958. Qui un romanziere francese dà i propri libri da leggere alla morosa, francese pure lei; costei non gradisce e gli rivela che non deve prendersela, in quanto non le piacciono nemmeno Victor Hugo né Balzac né Chateaubriand. Esasperato e sgomento, lui le domanda quali siano mai i suoi scrittori preferiti e lei risponde con parole che farò tatuare a perenne memoria sulla schiena della prossima mia fidanzata che si vanterà di essere laureata, magari in filosofia:

Kant, Bergson, Descartes, Spinoza. Io sono una povera ragazza senza fantasia e senza cultura e capisco solo i libri in cui non c'è niente da pensare perché tutto è già pensato. Se uno non mi spiega che cosa significano, io i fatti non li capisco.


[Qui trovate la terza parte, la seconda, e pure la prima.]