mercoledì 29 luglio 2015

Sarà che domani torno a riconciliarmi (spero) con l'Inghilterra, land of hope and glory, quindi sospetto che dati i precedenti potrei non tornarne vivo; sarà che stamattina mi ha suggestionato sui giornali la magna copia di articoli sulla ragazza della Fortezza dopo che la corte d'appello ha sancito che non fu stuprata bensì consenziente, con profluvio inevitabile di campagne online a colpi di hashtag #nessunascusa; sarà che la rapidità, l'esattezza, la previdenza oramai preoccupanti con cui preparo i bagagli mi fanno balenare in mente che forse come casa ho una valigia, inducendomi pertanto a distoglierne i pensieri facendoli vagare lontano; fatto sta che mi sono ricordato all'improvviso che quattro anni fa avevo seguito dal vivo la Slut Walk organizzata a Londra per un caso assimilabile a quello della Fortezza e avevo scritto queste tremila battute che poi mai più avevo pubblicato. Quindi eccole:

Alla stazione di Oxford, la signorina in coda dietro di me sfoggia un boa violetto, il bordo delle autoreggenti che sfugge all’orlo della minigonna e vari cuoricini di rossetto dipinti sulle guance: sta andando a Londra per la Slut Walk, la marcia delle zoccole inventata in Canada dopo le esternazioni poco furbe di un vigile (“Per evitare di venire stuprate, le donne non dovrebbero vestirsi in maniera discinta”) ma culminata la scorsa settimana in una serie di eventi britannici con sorprendente partecipazione da Newcastle in giù. Una volta giunti davanti all’Hard Rock Cafe di Green Park, balza all’occhio un dettaglio fondamentale: anche se l’obiettivo della protesta è di rivendicare il diritto a vestirsi in modo più che provocante senza rischiare di subire violenza, hanno optato per abiti oggettivamente discinti quasi solo cinquantenni o sessantenni ignare che gli anni ’70 sono finiti da un pezzo. A parte un paio di universitarie conciate come manichini da sexy shop e una trentenne coraggiosamente in topless, buona parte delle migliaia di partecipanti si presenta all’appuntamento nell’abito che avrebbe verosimilmente usato nel resto del fine settimana. Ciò si deve a una certa confusione di intenti, che ha reso la marcia londinese molto diversa dall’originale nordamericano; l’infelice frase del vigile canadese viene rapidamente dimenticata e lascia campo libero all’espressione di pulsioni puritane e antipuritane profondamente radicate nella società britannica. Insieme a chi si arroga il diritto alla zoccolaggine marcia chi vuole che il corpo femminile non venga mai considerato oggetto sessuale e ne sortisce una protesta di tutti contro tutti, anzi tutte contro tutti: donne nere tirano in ballo Strauss-Kahn col cartello “Siamo tutte cameriere”; volantini criticano un vigile scozzese che, esasperato dalla movida del sabato sera, aveva raccomandato ad alcune ragazze di bere di meno e coprirsi di più; smunte funzionarie del Socialist Workers Party, unica formazione politica presente alla marcia, scandiscono slogan contro Ken Clarke, il ministro della giustizia recentemente costretto a rimangiarsi l’asserzione che non ogni approccio possa essere equiparato alla violenza sessuale; immancabili gli attivisti gay, quelli pro aborto e perfino i raeliani. Desta sconcerto la delegazione di zoccole vere, professioniste, col cartello “Le prostitute hanno bisogno del femminismo e il femminismo delle prostitute”; fa un po’ ribrezzo la tredicenne spedita in giro a vendere biscotti allo zenzero rilasciando alle tv locali dichiarazioni sul timore che in ogni fidanzatino possa celarsi un maniaco. Ma nulla ha colpito più della massiccia presenza di uomini, che hanno superato di gran lunga le femministe quanto a provocatorietà. Oltre a una cospicua delegazione di veterani del travestitismo, moltissimi ragazzi hanno deciso di accompagnare amiche e fidanzate indossando solo parrucche, mutandine di pizzo e reggiseno dall’imbottitura improvvisata, sfilando orgogliosi di mostrare la nuova tendenza estrema del progressismo britannico: l’autocastrazione del maschio femminista.